Riscopriamo qualche classico del passato in questa estate torrida di afa e polemiche letterarie (as usual)
Cinque libri da leggere per l’estate. Tra brughiere, fumi di guerra, fiumi di sangue, bugie e amor fou
Cinque libri da leggere per l’estate. Tra brughiere, fumi di guerra, fiumi di sangue, bugie e amor fou
Cinque libri da leggere per l’estate. Tra brughiere, fumi di guerra, fiumi di sangue, bugie e amor fou
Cinque libri da leggere per l’estate. Tra brughiere, fumi di guerra, fiumi di sangue, bugie e amor fou
Cinque libri da leggere per l’estate. Tra brughiere, fumi di guerra, fiumi di sangue, bugie e amor fou
Cinque libri da leggere per l’estate. Tra brughiere, fumi di guerra, fiumi di sangue, bugie e amor fou
Cinque libri da leggere per l’estate. Tra brughiere, fumi di guerra, fiumi di sangue, bugie e amor fou
Periodicamente arrivano, servite in tazzina bollente, critiche ben tostate senza zucchero, che puntano a smuovere le pance e creare dibattito (quello di gran moda tira in ballo le scrittrici solo per il gusto di stropicciarle). Qualcuno si lancia in analisi autoptiche sul perché e per come questo autore girovaghi di genere in genere, peccando di nomadismo autoriale (à la guillotine!) Venti del genere spirano dal mare per fare più danni possibile, o solo per spettinare e guastare qualche festa. Prendiamo a prestito Shakespeare (A plague o' both your houses!) e tiriamo dritti agli scaffali senza badare agli spifferi. Ecco sei consigli per sei libri da portare via incartatati per bene (perché i regali che ci facciamo da soli, sono quasi sempre i migliori e come tali vanno onorati).
Emily Bronte, trascorse in questo mondo come un vento di brughiera sotto un cielo di ferro. Ha più di due secoli, 206 anni per l’esattezza, compiuti il 30 luglio scorso, ma la sua figura è sempre quella incastonata nel ritratto più noto che le fece il fratello Branwell Bronte, nel 1883: pelle lunare, occhio attento quasi da felino in guardia, i capelli sottili, scuri, appena ondulati. Nacque in pieno inverno nel West Yorkshire e brillò come una supernova. La sua energia, concentrata nell’unica grande folgorazione romanzesca della sua vita, continua a viaggiare negli anni luce risplendendo in Cime tempestose. Il romanzo è narrato attraverso due voci: quella di mister Lockwood, che racconta la storia della governante Nelly, e quella di Nelly stessa, che narra la vicenda dei due protagonisti, Heathcliff e Catherine. Il loro legame, forgiato da una passione maniacale e devastante, è allo stesso tempo precario e persistente. Quando l’abbandono si fa sentire da un lato, nasce dall’altro una vendetta ferina che si consuma nuovamente. La brace diventa cenere, nascondendo la paura, mentre il ricordo si trasforma in un’ombra dietro la finestra, proiettando lo spirito errante, intrappolato nella colpa e nel rimorso. Questo romanzo avvolge chi vi si addentra, sollevandolo in alto e poi facendolo precipitare, deludendolo e frustrandolo, mentre chi cerca redenzione e giustizia dovrà stringere i pugni e affrontare una sontuosa sofferenza.
Forse questo libro non dovrebbe essere consigliato con leggerezza, perché ricomporre i lembi dello strappo che provoca non è facile. Apre ferite che non fanno che sanguinare, rende spaesati e incapaci di gestire la sorpresa e il turbamento. Si resta sospesi, al termine della lettura, tra l’ammirazione assoluta per la scrittrice, la ricomposizione della struttura narrativa e il pensiero di quanto sia rischioso leggere sapendo che non riuscirai a prendere sonno dopo. Questo romanzo di Agota Kristof è così potente che ci si può fare male sul serio. Non è solo una storia, è un’immersione in profondità. Senza aria, senza bombole, senza luce. E non puoi neanche gridare: chi potrebbe sentirti nel tunnel in cui sei entrato per tua volontà? Ci sei solo tu, la storia e quello che ti racconta. Si inizia a capire, dopo qualche ora dall’ultima pagina, che è il linguaggio l’elemento che scuote fino a far vibrare i denti. Questo libro ci parla con i semi primordiali dell'evocazione, con il linguaggio dell'infanzia che resta la nostra vera forma di comunicazione, la prima, forse la sola che conti. Quindi scegliete questo libro con grande cautela, siate pronti a cominciare e, soprattutto, ad arrivare alla fine. E nel mezzo, se sentirete il bisogno di fermarvi a rifiatare, fatelo. Due passi nella stanza, un sorso di acquavite magari, e sarete pronti a tornare nel buio di osterie malandate.
L’eleganza di una scrittura che sussurra segreti antichi e presenze nascoste che strisciano dietro le pareti e nella nostra mente, pervade tutta la produzione di Shirley Jackson. Sebbene i suoi racconti evochino spettri, paure e case che scricchiolano, si spostano, si rivoltano e allargano l’ossatura per stringersi e schiacciare, ciò che emerge dalle sue opere di è una bellezza accecante. In questa storia, i dettagli minuziosi fanno precipitare l’immaginazione in un sogno, rappresentato da un ritratto di famiglia in cui la carta fotografica è seppiata e consunta e i volti sembrano appartenere a vivi o a morti. Un evento luttuoso aleggia, a distanza di anni, sulla famiglia Blackwood, segnando una storia di veleni e processi. Inviolabile e austera, si erge la casa nobiliare di una stirpe piegata dall’omicidio. Mary Katherine e Constance, due sorelle profondamente legate, si occupano del loro anziano zio malmesso. Quando un estraneo entra nel loro santuario domestico, rompe un equilibrio sottile come un filo di ragnatela, conducendo tutto verso il precipizio e le fiamme. È una narrazione raffinata e crudele, una carezza gelida di mezza estate.
C’è tanta umanità in questo romanzo che lo splendore che promana è abbacinante, quasi fa male agli occhi. Ishiguro è scrittore raro e preziosissimo, generoso e cangiante: esplora mondi diversi senza preoccuparsi che di scrivere quello che lo ispira, con rigore, mestiere, immaginazione, fulgore. Che sia la voce del porcellanato maggiordomo inglese di Darlington Hall (“Quel che resta del giorno”) o quella della coppia di due anziani decisi a diradare una nebbia che sa di oblio (“Il Gigante sepolto”), in cui la memoria e il tempo scivolano sulla vita, Ishiguro si fa trascinare e trascina noi con lui in questo valzer di innocenza ferita. In “Non lasciarmi”, Kathy, Tommy e Ruth crescono insieme in un collegio inglese immerso nella brughiera. Il loro destino è quello di diventare donatori di organi, fine ultimo della loro vita da cloni. La paziente rassegnazione al sacrificio, tema molto caro allo scrittore e che tornerà nell’altro suo magnifico “Klara e il sole”, strazia l’animo del lettore togliendogli il fiato ad ogni pagina. Vi strapperà il cuore, dolcemente.
È così spietato Kosinski, ha il cinismo dell'autore non compiacente, e fa quello che deve fare: piega, strangola, arriva a un passo dall’ultimo colpo per poi ritrarsi e lasciare il lettore a chiedersi: mio Dio, che mi è successo? Questo romanzo è così: venefico e fragile. Può costare fatica accettarlo, accoglierlo, riscaldarlo un po’, tanto cerca di respingerti e morderti le dita. Tutto quel nero che ha dentro, si appiccica addosso come catrame. È la storia (venata di autobiografia) di un bambino che cerca la salvezza dalla guerra che gli esplode intorno. Nel suo viaggio incontrerà umanità e disumanità, magia e miseria, costruendo barriere intorno al suo spirito, che lo possano proteggere dal mondo.
Il primo romanzo di Stephen King, Carrie, compie 50 anni. Il successo King lo attribuisce a sua moglie Tabitha che leggendo il racconto che conteneva le radici del romanzo, insistette molto col marito perché lo sviluppasse in un romanzo. King non era convinto per niente, diceva: «Non posso credere che sto scrivendo la storia di una ragazzina con le mestruazioni». Ma Tabitha ci aveva visto lungo e Carrie fu non solo un successo, ma anche una salvezza per la loro famiglia che prima di quel momento sbarcava il lunario a stento. La storia della ragazzina dotata di poteri telecinetici, vessata da una madre fanatica religiosa e dalle compagne di classe crudeli quanto basta, culmina nella scena diventata leggendaria, quella del bagno di sangue al ballo della scuola che regalò al pubblico un’iconografia dell’orrore difficile da dimenticare, anzi impossibile. Ad inizio romanzo si legge la dedica: «A Tabby, che mi ha fatto entrare in questo incubo, e poi me ne ha fatto uscire.» Cosa che a noialtri non è riuscito di fare. Per fortuna.
La morte qui è sospesa, o forse è la vita a esserlo. Il consumismo è gridato in slogan, mentre il sogno si infila tra le pieghe del dolore, aprendo la porta a visioni lisergiche. La ricerca e la scoperta di essere intrappolati in un incubo da cui è impossibile risvegliarsi sono palpabili. Dick ci offre un diamante che brilla e taglia con le sue punte smerigliate. C’è follia e astrazione, la potenza del ricordo e una vita che oltrepassa la grande barriera oscura. Leggere Ubik è un’esperienza unica: a tutti provoca un effetto mutevole, come un vino che ad alcuni fa girare la testa e ad altri non provoca nulla. Per scoprire se si è capaci di immergersi e godere di questo capogiro, non resta che provarci.
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