Tra food influencer, guerriere della salute, cure miracolose e false promesse, Netflix racconta della giovane australiana che ingannò il mondo con le sue bugie e della modella malata di sarcoma che morì dopo aver promosso sui social un metodo di cure alternative a base di beveroni e clisteri di caffè
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La convinzione che esista un complotto globale per farci ammalare e morire per interessi occulti, solletica l’ego e viene spacciata come prova di intelligenza e perspicacia. Mentre molti seguono cure dolorose e tossiche, pochi pionieri sperimentano unguenti mesopotamici, terapie olistiche zhuzhed e verità infuse da guru rassicuranti, illuminati da un’aura messianica.
La verità è che la disperazione è il motore che muove il mondo e la pietà ne è il bancomat. Chi si ammala desidera solo una cosa: guarire. Non c’è altro. Ma non sempre le cure funzionano, non sempre la scienza può restituire la vita di prima. E quando la paura diventa accecante, si insinua la grande illusione, l’impossibile speranza: quella di affidarsi a chi promette soluzioni segrete di cui i media non parlano per non danneggiare i colossi farmaceutici, le lobby, i giganti della sanità.
Netflix ha appena rilasciato una miniserie illuminante, seppur a tratti confusa e dispersiva: Apple, Cider, Vinegar (letteralmente “Aceto di mele”). Un titolo che richiama un condimento salutare e naturale, perfetto per innaffiare le nostre ipocondrie, meglio se bio – una parola di tre lettere che racchiude l’etichetta della grande ossessione (e del grande inganno) del ventunesimo secolo: il cibo sano.
La miniserie parte da qui, dalla psicosi collettiva, da un incantesimo sociale, dalla paura di morire, e su questa trama, intreccia tre storie: quella di Milla, un’influencer malata di cancro che promuove sui social il metodo Hirsh, creato da un sedicente cerusico d’inizio secolo che spaccia beveroni come panacea per tutti i mali; quella di Lucy, una donna con un tumore al seno terminale innamorata delle health blogger; e quella di Belle Gibson (unico personaggio reale chiamato con il suo vero nome che ha il volto di Kaitlyn Dever), arrembante ragazza australiana che capì prima e meglio di altri, che sulla salute non si può scherzare, ma ci si può guadagnare e bene, specie se a vestire i panni della sacerdotessa di una dieta miracolosa, è una reduce, una sopravvissuta al cancro. Una come tante. Una bugiarda come poche.
“Questa è una storia vera basata su una bugia” è la battuta iniziale di ciascuno dei sei episodi introdotti sempre da un personaggio diverso.
Ma chi è Belle Gibson a cui si è ispirata la serie e come ha fatto una poco più che ventenne spiantata, a macinare milioni di dollari e ingannare tutta quella gente?
Facciamo un passo indietro.
Siamo nel 2010. Instagram è neonato e Belle una delle prime iscritte sul social con il nome di @healing_belle. Ha soltanto 23 anni, non ha finito gli studi perché è diventata madre quando ne aveva appena diciotto, e ha sete di fama. È nata a Launceston, in Tasmania, una delle città più antiche dell’Australia, ma nel 2008 fa le valigie e se ne va a Perth e poi a Melbourne.
È ossessionata da internet, ed è ossessionata dal successo sui social di Jessica Ainscough, modella australiana, affetta da un raro sarcoma epitelioide (nella miniserie è chiamata Milla). Jessica la chiamano tutti “la guerriera del benessere” perché a un anno da una diagnosi infausta, è bellissima e in salute grazie a quella che chiama la cura alternativa. Niente chemio, niente radio, niente amputazione dell’arto, solo succhi di frutta e clisteri di caffè e milioni di follower ad adorarla e a seguirne le tracce.
Jessica è morta a trent’anni tra atroci dolori. Poteva salvarsi se si fosse curata in tempo. L’ultimo post sul suo Instagram è quello del suo funerale.
Belle Gibson la prende a modello e capisce che per diventare visibile, in un mondo di invisibili, deve dare qualcosa in pasto al pubblico: la sua salute.
Il racconto del suo cancro terminale al cervello fa da detonatore, “Fuck cancer” diventa il suo slogan. Così inizia a macinare follower. Centinaia di migliaia. Identificarsi in lei vuol dire avere una chance, questo è il messaggio che passa di bacheca in bacheca. I pesci sono all’amo.
Belle, però, non è malata, ma nessuno lo sa, nessuno sospetta. Nasce la sua app, “The whole pantry” (Tutta la dispensa), un prontuario di ricette sane e indispensabili per guarire, così dice. I risultati sono straordinari. Duecentomila persone la scaricano in due mesi ed Apple la dichiara miglior app del 2013.
L’impero Gibson cresce. La gente la adora, la segue, le scrive. La narrazione diventa suggestione, ipnosi, nevrosi, fanatismo, cecità.
Nel 2014 arriva la pubblicazione del suo primo libro di ricette per la casa editrice Penguin e nasce anche il suo sito: The Whole Life. Belle vuole espandersi ancora, troppo, ma fa un passo falso.
Il suo cancro nelle interviste raddoppia, triplica, quadruplica quintuplica. Adesso il tumore si è diffuso al fegato, ai reni, all’utero, al sangue. Poi promette di devolvere 500mila dollari a diversi enti di beneficenza, ma tutto resta su carta. La sua credibilità inizia a vacillare. I dubbi dell’opinione pubblica vanno di pari passo con l’aumento delle sue patologie. Racconta di soffrire di cuore, di aver avuto un ictus e intanto promuove sui suoi social il “metodo Gibson” (che nella miniserie è chiamato Hirsh) che garantisce di guarire dal cancro limitando il sodio, aumentando il potassio e irrorandosi di clisteri al caffè, all’ozono, all’olio di ricino.
I vaccini, nel vangelo secondo Belle, sono veleno, promossa invece è la consumazione massiccia di latte non pastorizzato. La stampa smette di spargere fiori ai suoi piedi, le sta addosso, ma lei resta aggrappata al suo trono. La sua amica Chanelle McAuliffe cerca di convincerla a confessare la verità, ma Belle non ne vuole sapere, così Chanelle si rivolge alla Polizia e la denuncia. Il fiuto dei cronisti di The Age, porta all’apertura di un’inchiesta che mostra il re, anzi, la regina nuda.
Davanti alle accuse di falso, Belle fa spallucce e dice solo di aver sovrastimato gli introiti della sua società. Questo fino a quando non esce fuori la brutta storia di una raccolta fondi per un bimbo malato di cancro, mai arrivati alla famiglia, ma finiti nel conto corrente Gibson.
Arrivano così le accuse di frode fiscalee le televisioni iniziano a spegnere i riflettori. Proprio quella stampa che aveva alimentato a dismisura il mito di Belle, riempiendola di copertine e premi, senza mai verificare una volta la veridicità dei suoi racconti, batte in ritirata.
Ma anche lei lo fa, almeno ci prova. Inizia un goffo tentativo di social washing. Dalle sue pagine Instagram e Facebook cominciano a sparire i post sulla beneficenza e sui suoi tumori. Ma non può basta. Il libro di ricette viene mandato al macero, Apple ritira la app dal suo store. Belle prova con un colpo di coda a raddrizzare la rotta e ammette di aver mentito.
Nell’aprile del 2015, dalle pagine del The Australian Women’s Weekly, confessa di aver inventato ogni cosa. Non ha mai avuto il cancro. Mai. Addossa la colpa delle sue azioni alla madre, colpevole di non essere mai stata amorevole e accudente.
Forse anche questa era una storia vera, basata su una bugia.