Prosegue l’iter burocratico che l’amministrazione comunale di Tropea ha avviato per la vendita di Palazzo Giffone. Dopo il consiglio comunale di ieri pomeriggio, l’obiettivo posto dal primo cittadino sembra più vicino.
Nella seduta sono stati numerosi i punti all’ordine del giorno, ma sull’ultimo si è dibattuto a lungo: la revoca della delibera, risalente al 25 settembre 2014, riguardante la disponibilità di massima all’acquisto dell’immobile (di proprietà della Cassa depositi e prestiti) da parte del Comune di Tropea. In pratica, l’ente non ha più interesse a comprare l’edificio, come invece prospettato cinque anni addietro.


Di fatto, il provvedimento, passato grazie ai voti compatti della maggioranza, rimarca ulteriormente i propositi di Macrì e della sua giunta affinché il bene vada in mano ai privati per la realizzazione di un hotel di lusso, con ricadute anche sul Comune: si ipotizza, infatti, la pavimentazione di Largo Di Netta, la realizzazione dell’ascensore che porta sul lungomare e una sala multimediale che sarà ad uso pubblico.


Una scelta a lungo contestata dalla minoranza, in primis dal rappresentante della lista L’altra Tropea, Massimo L’Andolina, che, in un duro scontro con Macrì, ha parlato di «furto metaforico di uno dei gioielli cittadini», puntando il dito anche contro la posizione del sindaco stesso, che in passato, da consigliere d’opposizione, si era detto favorevole all’acquisto da parte del Comune.


Dello stesso avviso anche Giuseppe Romano, secondo il quale «un bene di tale importanza dovrebbe portare risorse alle casse comunali e quindi essere gestito da una società mista Comune-privati». Al consigliere ha fatto eco anche il membro dello stesso gruppo Rinascita per Tropea, Massimo Pietropaolo, secondo il quale i beni della collettività dovrebbero essere sfruttati per finalità culturali.


Macrì ha risposto ricordando di aver votato a favore dell’acquisto «quando c’era il finanziamento della Regione (3,5 milioni di euro ndr), poi andato perduto. Oltretutto – ha proseguito - la legge 78 del 2010 non permette ai comuni con meno di 30mila abitanti di costituire società. Quel bene per essere mantenuto ha bisogno di risorse importanti che il Comune al momento non ha, ed è addirittura in atto un reato perché c’è una rovina di edificio incombente e la Cassa depositi e prestiti se ne infischia. Bisogna agire al più presto per accelerare i tempi e arrivare a una ristrutturazione non solo per questioni economiche ed estetiche, ma anche di incolumità pubblica», ha concluso il primo cittadino.


Il tema tornerà in discussione nella prossima seduta dell'assise comunale prevista entro i prossimi venti giorni.