Quasi un’ora di conferenza stampa. In piedi, da sola oltre il tavolo in un noto hotel di Lamezia Terme, Federica Roccisano è un fiume in piena. Il suo defenestramento dalla giunta Oliverio non le è andato giù, ha spiegato, per le motivazioni che sono state addotte e così ha deciso di togliersi tutti i sassolini dalla scarpa. Di raccontare le difficoltà di un percorso che fino ad ora aveva taciuto e che sarebbe stato accidentato sin dall’inizio.

«Hanno ottenuto la mia testa»

Le prime spinte affinché Oliverio le revocasse l’incarico sarebbero arrivate già sei mesi dopo il suo insediamento. A dare fastidio sarebbe stata, secondo Roccisano, il non essersi dimostrata una pedina manovrabile. Poi l’incontro del due gennaio scorso con il governatore Oliverio, il confronto franco, la richiesta di dimissioni da lei respinta e pochi giorni dopo la revoca dell’incarico. «Sono stata mandata a casa con motivazioni ingiuste e pesanti – ha detto – la verità è che il cerchio magico ha ottenuto finalmente la mia testa».

 

Tra gli errori che si imputa quello di non avere sbattuto i pugni, di non avere alzato la voce contro i ritardi della burocrazia, ma anche quello di avere fatto poco contro il mobbing all’interno del suo dipartimento.

La scelta di rimanere nel Pd

Federica Roccisano ha deciso comunque di rimanere all’interno del Pd e smentisce qualunque passaggio in altri partiti. Ad accordi elettorali, suggerisce, sta pensando forse Oliverio. Questa motivazione potrebbe essere una di quelle che avrebbero portato alla scelta di farla fuori dopo due anni di resistenza del governatore al spinte in tal senso, proprio a ridosso delle politiche. A lui la Roccisano ha augurato di circondarsi di «leali, che si assumano la responsabilità di dire ciò che non va e che non calino sempre la testa».


«Non mi sento una vittima- ha sottolineato – non mi sono sentita tale quando mi hanno mi hanno bruciato la macchina e non mi sento vittima ora».