Il presidente della Commissione antimafia smentisce categoricamente alcune notizie che riportavano il suo nome frutto di un'intesa tra Partito democratico e 5 stelle
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«In Calabria alleati con il Pd? Non sia mai». Se c’era qualcuno che dava per scontato l’allineamento dei Cinquestelle calabresi alle direttive impartite dal Luigi Di Maio dovrà ricredersi. Il senatore Nicola Morra, presidente della Commissione antimafia, intervenendo ad Agorà su Rai Tre, è stato categorico. Una reazione particolarmente veemente forse anche a causa della domanda che gli è stata posta, e cioè se sono fondate le voci che lo indicano come candidato alla Regione nell’ottica di un accordo con il Pd. Per Morra non se parla proprio, «perché - ha sottolineato - il Movimento è nato per esser alternativo a certi mondi, certi mondi partitocratici che hanno fatto vergognare molto spesso gli stessi elettori che gli avevano dato fiducia».
Secondo il senatore pentastellato, se c’è il tentativo di qualcuno «di ricostruirsi la verginità persa usando altre persone che non provengono dalla loro tradizione, benissimo, non si va da nessuna parte».
Infine l’affondo più pesante: «Si facesse pulizia prima che intervenga la magistratura, la politica deve avviare certi processi di autoriforma. Io ce l'ho con i comportamenti che non solo non sono virtuosi, ma sono addirittura delittuosi e qui in terra di Calabria posso assicurare che il Partito democratico ha dato molto, molto lavoro alla magistratura».
L’uscita bellicosa di Morra è solo l’ennesima conferma che il terremoto politico innescato da Salvini questa estate, continua a produrre forti scosse di assestamento. Che la situazione sia magmatica e in continua evoluzione, lo dimostra quanto accaduto nelle ultime ore. Sia a livello nazionale che in Calabria, infatti, il centrosinistra si è spaccato, anche se si tratta di due fratture completamente diverse.
A Roma Matteo Renzi ha ufficialmente decretato la sua uscita dai dem, portandosi dietro una trentina di parlamentari, tra cui il senatore calabrese Ernesto Magorno, per aumentare così il suo peso specifico nella maggioranza che regge il Conte bis.
In Calabria, invece, il commissario regionale dei democrat, Stefano Graziano, ha lanciato ieri l’aut aut al presidente Mario Oliverio, minacciando la sua espulsione dal partito.
Per minare ulteriormente la strada che conduce alla ricandidatura del governatore, è arrivata anche la nomina di Mimmo Battaglia a capogruppo Pd in Consiglio regionale, lontanissimo dalle posizioni di Oliverio.
Contestualmente, a Feroleto, a pochi chilometri di distanza dalla riunione di Lamezia con Graziano, un altro centrosinistra in miniatura guidato dal Partito socialista si schierava a difesa del presidente uscente, con il segretario regionale Luigi Incarnato a ribadire ciò che aveva già detto qualche giorno fa, e cioè che Oliviero (lo stesso che lo ha nominato alla guida della Sorical, la società pubblica che gestisce le risorse idriche in Calabria) merita di essere ricandidato.
Ormai è davvero difficile immaginare come il governatore possa resistere, soprattutto in considerazione della rotta tracciata dal capo politico dei cinque stelle, che ha aperto all’alleanze locali con il Pd a patto che siano vestite di civismo. In Calabria il candidato ideale resta l’imprenditore Pippo Callipo, abbastanza grillino senza esserlo davvero e sufficientemente vicino ai democrat per non provocare reazioni di rigetto. Ma, come dimostra l’uscita a testa bassa di Morra, digerire l’accordo con gli odiati dem anche a livello regionale, dopo aver dovuto ingoiare il boccone amaro dell’alleanza a Palazzo Chigi, per i pentastellati non sarà affatto facile.