L’inadeguatezza del dirigente democrat a cui hanno affidato le sorti del partito calabrese non lascia spazio all’interpretazione. L’alleanza ancora non è stata varata, mentre il fianco sinistro del partito è eroso dalle orde di de Magistris
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Le trattative sul fronte dell’alleanza giallorossa per dare un candidato alla presidenza della Regione, possibilmente donna e che sancisca l’alleanza Pd-M5S e, di conseguenza, l’asse Letta-Conte, stanno diventando frenetiche. Forse, è proprio il caso di dirlo, cervellotiche. Soprattutto da quando dalle sagrestie romane è partita l’indicazione a ricercare un profilo femminile per la leadership dell’alleanza giallorossa.
Partita l’indicazione. Apriti cielo. Capi corrente, responsabili d’area, nazionali e regionali si muovono sull’asse Roma-Catanzaro per proporre, sondare, mettere il cappello o semplicemente bruciare qualcuno. Lo sottolinea bene Jasmin Cristallo con una nota affidata alle agenzie. «In queste ore complicate per la Calabria, ore di guerra a colpi di comunicati stampa e mirabolanti ricostruzioni giornalistiche figlie di una regia che vorrebbe essere occulta ma tanto occulta non è, -scrive la leader delle sardine calabre- si fa sempre più insistente la voce che il Pd sarebbe impegnato ad individuare una “figura femminile” per la presidenza della Regione. Un totonomi svilente che ha lambito anche me e mi ha costretta ad una pubblica smentita».
Ma facciamo un passo indietro. Come si è arrivati a questo punto? Per una volta arriviamo a dare un nome al responsabile o ai responsabili di questa lunga marcia verso il disastro che ha messo in atto innanzitutto il Pd. Tra i maggiori responsabili di questa commedia, il commissario regionale del Pd, Stefano Graziano, che fin dall’autunno ha sbagliato tutte le mosse, a partire dalla convocazione del tavolo. Era ancora dicembre quando ci siamo permessi di suggerire, a Graziano e company, di cambiare atteggiamento nella costruzione di una coalizione alternativa al centrodestra. In quella occasione, infatti, avevamo contestato al commissario partenopeo, scarsa misura nella gestione di equilibri delicati, come la costruzione di un’alleanza che si presentava fragilissima, e soprattutto di avere un atteggiamento dialogante verso il leader di Tesoro Calabria Carlo Tansi. I dissensi, le polemiche e le lacerazioni dei mesi passati, infatti, presupponevano una certa prudenza nel soppesare le parole.
E, invece, l’inadeguatezza di Stefano Graziano emerse in tutta la sua drammaticità. La rissa con l’ex direttore della protezione civile scoppiò subito, fomentata dallo stesso Graziano, al punto che, in un editoriale scrivevamo: se l’obiettivo del maggior partito di centrosinistra è quello di dare vita ad un’alleanza, il commissario regionale del Pd Stefano Graziano farebbe bene ad evitare scivoloni e strafalcioni. Un serio dirigente politico, infatti, in una situazione drammatica come quella calabrese, dovrebbe armarsi di pazienza e di misura. In assenza di queste caratteristiche, nella vituperata Prima Repubblica, per esempio, un dirigente politico sarebbe stato considerato inadeguato a svolgere quel ruolo. E, d’altronde, sono in molti a chiedersi dentro e fuori dal Pd se Graziano sia veramente adatto a svolgere il compito che gli è stato affidato dal responsabile del mezzogiorno Nicola Oddati e dallo stesso Nicola Zingaretti, a gestire un tavolo al quale, comunque, si erano approcciati Tansi e d altri interlocutori.
Ma “a lavar la testa all'asino si perde il ranno e il sapone” dice un vecchio detto contadino. I risultati non lasciano spazio all’interpretazione. Dopo otto mesi da quel nostro modesto suggerimento, Graziano è sempre qui. Irto è stato divorato dagli errori di Graziano e Boccia e dal cannibalismo interno. L’alleanza ancora non è stata varata. Il fianco sinistro del Pd, eroso dalle orde di de Magistris. Nomi di prestigio come quello del prof. Enzo Ciconte catapultati nella mischia della Torre di Babele delle correnti piddiote. I capibastone vecchi e nuovi a mestar nel torbido. Dal Nazareno fino al bagnasciuga dello Stretto, tutti alla ricerca della donna salvifica da candidare. Una ricerca che ricorda tanto quella del famoso albero di Bertoldo dove andare ad impiccarsi. In un partito normale, con questi risultati, uno come Graziano sarebbe stato mandato a fare il guardiano al luna park.
Il Pd, però, non è un partito normale. Infatti, Graziano è sempre lì. Congelato. A macinar disastri. Immagina candidature. Le propone pure, pare a nome del Nazareno. Stamane, per esempio, pare che la Calabria abbia dovuto rinunciare “all’acume” della candidatura di una donna che avrebbe potuto risollevare le sorti della Regione. Purtroppo un patto verso il giornalismo della protagonista ha tolto alla nostra terra questa grande possibilità (sic). Il promotore di questo lampo di genio politico? Stefano Graziano. Commissario congelato del Pd calabrese. Apprendiamo poi, da ambienti democrat, che la storia non è andata proprio come ci è stata raccontata. Pare infatti che ad infilzar la pulzella siano stati gli esponenti dell’ala sinistra del Pd. I quali sostengono: «Va bene ricercare il profilo civico», ma candidare una che si definisce né di destra né di sinistra sarebbe veramente troppo.
E, infatti, l’interessata se la prende con i Bolscevichi e i Menscevichi del Pd calabrese. Il siparietto si conclude con un appello sceneggiata in perfetto stile napoletano. Mancava solo la canzone: “Ma nun me lassa, / Nun darme stu turmiento! / Torna a Surriento, / Famme campa”. Un altro pezzo consistente della già fragile credibilità del Pd calabrese è volato via. Graziano, invece, è rimasto. Testimone fino all’ultimo respiro, di una sinistra agonizzante. Forse, la ricerca del candidato a presidente, con un annuncio su di una rivista specializzata si sarebbe fatto bene e meglio di quanto non abbia fatto Stefano Graziano in tutti questi mesi.