«Tornerò presto» aveva detto Giuseppe Falcomatà pochi minuti dopo la pronuncia della sentenza di primo grado del processo Miramare. Si mostrava fiducioso, il sindaco, circa la possibilità di una decisione favorevole in merito alla sospensione ope legis conseguente alla ormai nota legge Severino. Ed invece adesso, per lui e per tutti gli altri amministratori sospesi, la strada si fa dannatamente in salita.

Sarà difficile, se non quasi impossibile, infatti, che la sospensione di 18 mesi comminata dalla Prefettura di Reggio Calabria possa essere revocata dal giudice civile competente a decidere su eventuali ricorsi presentati. Sono due fondamentalmente le direttrici sulle quali si muove l’assunto poc’anzi enunciato.

Il primo – decisivo o quasi – è la pronuncia emessa dalla Corte Costituzionale in merito alla fondatezza della questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Catania (ma non solo) sulla legge Severino. Ebbene, i giudici della Consulta hanno dato un verdetto secco: quella legge rispetta pienamente i parametri della Costituzione e non vi è alcuna violazione dei principi sanciti nella nostra Carta fondamentale.

Il sindaco di Catania, Pogliese, infatti, aveva sollevato – tramite i suoi legali – questione di legittimità costituzionale, ritenuta non manifestamente infondata dai giudici catanesi che avevano sollevato la questione dinanzi alla Consulta, lamentando la sospetta lesione degli articoli 3, 48, 51, 97 della Costituzione, sulla base del principio di non colpevolezza sancito dall’articolo 27 comma 1 della stessa Carta costituzionale. Nel caso di specie, Pogliese era stato condannato dal Tribunale di Palermo per il reato di peculato.

La tesi dei giudici catanesi

Secondo i giudici catanesi, l’esigenza cautelare sottesa alla sospensione dalla carica richiederebbe una verifica in concreto dell’entità del pregiudizio causato all’amministrazione, che potrebbe mutare sensibilmente caso per caso, in ragione della tipologia di reato e della maggiore o minore gravità del comportamento illecito accertato in sede penale. Prevedendo una durata fissa della sospensione, inoltre, il legislatore avrebbe introdotto un regime ingiustificatamente uguale per «comportamenti ontologicamente diversi oppure posti in essere con minore o maggiore gravità e, quindi, notevolmente disomogenei», in contrasto con il principio di uguaglianza, di cui all’articolo 3 Cost.

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