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Fare finta che non sia successo nulla sarebbe di certo un errore. Ma forse ancora più sbagliato potrebbe essere usare il “lanciafiamme”, così come era scappato a Renzi all’indomani del deludente voto ottenuto dal Pd al primo turno delle ultime elezioni amministrative. Usare la leadership come una clava contro gli avversari, esterni e interni al partito, è stata sicuramente una delle cause che hanno portato alla batosta complessiva rimediata dai democrat in Italia e in Calabria.
Nella nostra Regione l’harakiri di Magorno e compagnia si è completato con la sconfitta di Crotone. Gli Sculco, hanno stravinto portando Pugliese ad ottenere il 59,27% a fronte del 40,73% al quale si è fermata la Barbieri. Il Pd non si conferma nella città pitagorica (il sindaco uscente era Vallone) dopo aver perso Cosenza al primo turno e, ancora prima, precedenza Gioia Tauro, Lamezia e la Provincia di Vibo. Soltanto Reggio fa eccezione, ma non può essere motivo di consolazione per un partito che sembra evaporato in appena un anno e mezzo dalla roboante vittoria ottenuta da Oliverio alle regionali. Né può bastare a rendere meno amara la sconfitta, l’affermazione di Rossano, dove Mascaro è stato eletto sindaco con il 50,22%, staccando di misura Rapani di Fratelli d’Italia (49,78%).
All’ultimo voto, invece, si è conclusa a Cirò Marina, la sfida fra i due ex sindaci Parrilla che vince con il 51,32% contro Siciliani (48,68). Sfida che, però, non altera le valutazioni complessive sul voto regionale. Anzi, aggrava le contraddizioni di un partito che ha appoggiato Siciliani, nonostante Parrilla appartenesse comunque all’area Pd.
L’urgenza di un ripensamento di linea da parte dei vertici del Pd diventa ancora più evidente, inoltre, se si considera che in Calabria è stato praticamente impalpabile il M5S e che il centrodestra, al netto della vittoria di Cosenza legata alla personalità di Occhiuto, è ancora lontano da una ricostruzione. Due variabili che hanno sicuramente contenuto i margini di una sconfitta che boccia senza appello il partito attualmente al governo della Regione. E’ chiaro che con un centrodestra ai livelli di qualche anno fa o con i grillini in linea con le performance ottenuto a Roma o a Torino, il Pd avrebbe finito con l’essere escluso anche dal turno di ballottaggio.
I risultati ottenuti poi nel resto d’Italia rendono ancora più chiara la crisi che sta attraversando la leadership di Renzi e più complessivamente il renzismo, inteso come corrente di rottamazione che voleva stravolgere Pd e Paese. Perdere in malo modo Roma, Torino e anche Napoli è un segnale d’allarme assai forte che desta profonda preoccupazione, all’interno della stanza dei bottoni renziana, anche in vista del prossimo referendum costituzionale di ottobre. Una consultazione delicata che si propone di ridisegnare l’impianto costituzionale e istituzionale del Paese e sulla quale è stato lo stesso premier ad annunciare che si giocherà la partita della vita. In caso di sconfitta procederebbe alle dimissioni, ha annunciato. E adesso questa eventualità pare essere sempre più possibile.
Dietro le facce tristi, quasi dimesse, di Fassino e Giachetti, ma anche di Carletto Guccione e della Barbieri scorrono le immagini di una lunga corsa al ribasso. I compromessi fatti con il Nuovo Centrodestra, con gli uomini Verdini e con chiunque fosse in grado di fornire pure pochi voti al Senato, ha portato ad un evidente pastrocchio che ha minato l’identità stessa di un partito, già nato ibrido con la fusione a freddo di Ds e Margherita.
Contraddizioni su contraddizioni che hanno avuto riverbero sui territori. Basta pensare che a Cosenza correva con Guccione un ex assessore della giunta regionale di Scopelliti come Giacomo Mancini. O che alla Regione Oliverio ha viaggiato in piena sintonia con Gentile, altro esponente di spicco della passata legislatura dove il centrodestra era al governo. E per quanto si possa pensare che gli elettori italiani siano abituati a tutto, forse stavolta si è passato il segno. E se all’altissima astensione, specie al turno di ballottaggio, si aggiunge il consenso che è stato riversato sul movimento di Grillo, si capisce quanto sia distante dai cittadini e dalle loro esigenze la classe politica e i suoi governi, frutto di alchimie contabile e non certo di idee, strategie e programmi che abbiano al centro gli interessi dei cittadini.
Riccardo Tripepi