Dopo il via libera del Senato, oggi sarà la Camera a votare la fiducia. Il contratto può funzionare, ma il difficile sarà far digerire ai sostenitori dei due partiti di maggioranza scelte troppo reazionarie o troppo progressiste
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La Terza Repubblica è nata. O quanto meno ha messo la testa fuori. Troppo presto per dire a chi assomiglia di più il nascituro – se a Di Maio o a Salvini - ma abbastanza per affermare che è stato un parto difficile.
Giuseppe Conte, il professore fino a qualche settimana fa completamente sconosciuto al di fuori delle aule universitarie, ha fatto il suo debutto come politico. Al Senato per chiedere e ottenere la fiducia verso il suo governo gialloverde, ci ha messo un’ora e 11 minuti per snocciolare tutti i punti del famigerato contratto, sintesi delle ambizioni nazionali di Cinquestelle e Lega.
Lo ha fatto nel suo impeccabile abito di sartoria, così diverso dalle felpe di Salvini («Quando metto la cravatta sudo come un orso»), che non gli ha impedito di dare fondo alla retorica di una campagna elettorale fatta da altri, senza indicare però le coperture per le promesse più costose da mantenere, come il reddito di cittadinanza, l’abolizione della Fornero e la flat tax. Ha aggirato i temi più insidiosi per l’elettorato leghista, come il sostegno al Mezzogiorno, che non ha focalizzato come argomento a sé stante, e ha dato fiato all’orgoglio grillino rivendicando il populismo inteso come “ascolto dei cittadini”.
Ha tranquillizzato i mercati assicurando che «l’Europa è casa nostra» e ha rigettato le insinuazioni di razzismo nei confronti della compagine di governo. Fondamentale, in questo senso, è stato anche il passaggio sull’omicidio in Calabria di Soumaila Sacko, il migrante freddato sabato notte a San Calogero. Il silenzio di Salvini e Di Maio stava facendo troppo rumore e le parole di Conte, che ha reso onore al giovane bracciante, hanno spento un fuoco di polemiche che cominciava a divampare in maniera preoccupante.
Alla fine, si sono contati 62 applausi, numerose standing ovation, 171 voti a favore, 117 contrari e 25 astenuti. Ora bisogna vedere quanto dura. Parecchio, sostengono autorevoli osservatori. Il debutto di Conte al Senato privo di sbavature e gli applausi unanimi che ha strappato alla maggioranza gialloverde, conferma che l’alchimia per ora funziona e potrebbe continuare a farlo per molto tempo.
La vera incognita viene dalla base, dagli elettori dei due maggiori azionisti che sono estremamente caratterizzati e intransigenti. Difficile immaginare i leghisti, ad esempio, che ingoiano senza fare storie eventuali parole, opere e omissioni a favore del Sud. Allo stesso modo, l’elettorato grillino, tendenzialmente deluso dalla vecchia sinistra ma comunque con un’anima progressista più accentuata, potrebbe avere grandi difficoltà a digerire atteggiamenti troppo reazionari e nazionalisti. La crepa, se e quando si aprirà, potrebbe partire dal basso e a quel punto, se lo spread del consenso dovesse cominciare a salire, correrebbero tutti a capitalizzare l’investimento per limitare le perdite e prepararsi al prossimo giro di giostra.
Molto meno preoccupante per la tenuta del Governo è invece l’azione dell’opposizione, in primis Pd e Forza Italia, non solo per la mancanza di numeri sufficienti a impensierire i due partiti di maggioranza, ma soprattutto per l’assenza totale, al momento, di autorevolezza politica. Sia il Partito democratico che quello di Berlusconi, durante la discussione al Senato apparivano come il passato che non ha funzionato, al di là dei reali demeriti. Perché ad essere onesti non bisogna dimenticare che l’impianto lasciato in eredità dai governi Renzi e Gentiloni non è stato (e non verrà) rigettato in toto dal “governo del cambiamento”. Come dire, cambiamento sì, ma fino a un certo punto. Lo dimostrano gli apprezzamenti a denti stretti di Salvini verso il lavoro fatto dal suo predecessore al Viminale, Marco Minniti, sul fronte dell’immigrazione, e provvedimenti come la nuova indennità di disoccupazione, la Naspi, che - unita al reddito d’inclusione fruibile già da tempo da chi è davvero povero - sembra richiamare proprio quel reddito di cittadinanza tanto sbandierato in campagna elettorale.
Ma questa è acqua passata. Oggi la fiducia sarà chiesta alla Camera, dove i numeri sono ancora più schiaccianti di quelli al Senato. Poi, si comincia davvero, con la composizione delle commissioni parlamentari e le numerose nomine governative nelle aziende di Stato, con Salvini che ha meno parlamentari ma più carte da giocare di Di Maio, che già si è fatto fregare una volta dal leader leghista e non potrebbe candidarsi nuovamente in caso di rottura, per il limite interno al movimento del doppio mandato.
E mentre i due partiti di maggioranza si fronteggeranno sulla scacchiera delle nomine, Conte dovrà cominciare a governare confrontandosi con le altissime aspettative che sono state generate e con un Paese che non ne può più della solita politica che parla tanto e non fa abbastanza.
Enrico De Girolamo