Il quadro nazionale       

Il quadro delle elezioni siciliane è ormai chiaro. Il grande sconfitto è il PD di Matteo Renzi. E’ vero, è un test regionale. E quindi offre una lettura parziale. E’ vero anche che, a guardare bene i numeri, si discostano poco dai numeri tradizionali del centro-sinistra sull’isola. Tuttavia, ogni vicenda elettorale, bisogna contestualizzarla. E’ evidente che, il contesto nel quale è maturata questa sconfitta è profondamente diverso dal passato. Ed è altrettanto evidente che essa può produrre un effetto trascinamento alle imminenti elezioni politiche. D’altronde basta leggere l’altro test elettorale, quello che si svolto al Municipio di Ostia a Roma, che sostanzialmente conferma la polarizzazione del voto tra centrodestra e Cinquestelle e il PD fuori gioco, per comprendere che il PD rischia di essere fuori dalla partita. Il Pd e Renzi provengono da una profonda contestazione sociale che si è materializzata con la sconfitta al Referendum. Una sconfitta che ha evidenziato un profondo malessere e una profonda intolleranza degli italiani verso l’attuale leader del PD, in relazione della sua esperienza di governo. Ciò è un dato evidente e consolidato ormai.

 

A questo quadro bisogna aggiungere la crescente disaffezione dell’elettorato italiano verso la politica e i suoi rappresentanti. Una disaffezione che si era già abbondantemente manifestata sia alle elezioni europee del 2014, quelle nelle quali il Pd di Renzi prese il 44% trascurando fatto il fatto che quella percentuale si era manifestata con una partecipazione al di sotto della metà degli aventi diritto. Lo scenario si è ripetuto in occasione delle regionali di Emilia Romagna e Calabria. In Emilia si recò alle urne solo il 37,71%. In Calabria invece, il 44,08 %.

 

Tutto ciò ha avuto in comune un unico denominatore: l’incapacità del PD di riflettere su questo malessere, anzi, ha preferito cullarsi su allori inesistenti e privi di sostanza. Altro comune denominatore, l’arroganza, la prepotenza, nel sottrarsi a qualsiasi rilievo critico interno da parte di Matteo Renzi e del suo cerchio magico. L’atteggiamento è noto. Nessuna possibilità di mediazione sulla discussione della legge elettorale e su tanto altro, in particolare, sulle politiche economiche. Un atteggiamento che, ad un certo punto, ha spinto fuori dal PD un pezzo importante del gruppo dirigente.

E poi, il varo della legge elettorale, una legge che non garantisce comunque una maggioranza stabile, con il grande rischio, se il disastroso trend elettorale siciliano si manifesterà alle nazionali,  che il PD venga tagliato fuori da tutti i collegi uninominali. Ipotesi, ormai, abbastanza realistica.

Ciliegina sulla torta: incapacità totale a costruire una coalizione. Il PD ha una sola possibilità, ribaltare il quadro politico programmatico interno e archiviare definitivamente Renzi e la sua epoca. Ci sono le condizioni di una svolta repentina di questo tipo? Difficile. Poco realistica. Considerato le reazioni dei soliti personaggetti del cerchio magico renziano in queste ore, il gruppo dirigente democrat marcia rapido verso il baratro. 

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Il quadro calabrese

In un quadro nazionale di questo tipo, il PD calabrese sarà resettato. Il gruppo dirigente calabrese del PD, si era caratterizzato per essere un gruppo dirigente anti renziano, con questa caratteristica aveva sfidato Renzi sulla candidatura di Mario Oliverio, si era differenziato al congresso, aveva avuto la forza e l’originalità di rappresentare sul piano nazionale un punto di vista diverso al renzismo e ad alcuni renziani e aveva vinto. Il tatticismo, il trasformismo interno, la naturale propensione a saltare sul carro del potere, il timore di non essere candidati, hanno spinto quel gruppo dirigente ad una piroetta grottesca, sposando dapprima la causa referendaria e, successivamente, attraverso il lodo Martina, la causa renziana al congresso, trasformandosi da anti a filo renziani. Un capolavoro di strategia. Oggi, condividono e subiscono la sconfitta e, potrebbero, diventare le vittime del crollo della politica ridotta in “stazione ferroviaria”. Il Rosatellum farà il resto. L’esercito dei parlamentari uscenti, in Calabria, con queste premesse, è evidente che sarà decimato nei collegi uninominali. Secondo alcuni sondaggi, infatti, il PD calabrese è dato tra il 15 e il 18%. Significherà zero collegi uninominali, 2 (forse 3 con i resti), deputati alla Camera proporzionale e 1 senatore al proporzionale. Posti quelli proporzionali che hanno già, secondo autorevoli indiscrezioni, nomi e cognomi. Marcianò a Reggio Calabria, ovvero collegio proporzionale sud e, udite udite, Ernesto Magorno al collegio proporzionale nord. Marco Minniti, invece, sarà capolista proporzionale al Senato. Come un secolo fa, il terremoto in Sicilia (per il PD), potrebbe trasformarsi nello tsunami in Calabria.

Pasquale Motta