Tutti i problemi e le contraddizioni interne con cui è alle prese la coalizione a sostegno di Bruni e il Pd hanno suggerito una strategia elettorale molto rischiosa
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La grande battaglia sul cosiddetto voto utile lanciata dal Pd in vista delle ormai imminentissime elezioni del prossimo inizio ottobre rischia di essere il più clamoroso boomerang del centrosinistra calabrese. Una coalizione che si è frammentata in tante liste, volendo forse dare una dimostrazione di forza in sostanza soltanto di facciata, con appena un paio realmente competitive e di sicuro capaci di scollinare il quorum del 4%, necessario per eleggere almeno un consigliere.
Un problema che peraltro, seppur in misura assai minore alla luce del marcato odore di vittoria generale nell’aria, ha anche il centrodestra. Che però, semmai dovesse lasciare qualche scontento per strada essendoci oltretutto concrete possibilità in tal senso, potrebbe comunque far leva su tanti posti di governo (leggasi in Giunta) e sottogoverno (prestigiosi incarichi al vertice di società in house et similia e non solo) per smorzare sul nascere ogni malumore. Fine dei grattacapi, dunque.
Preoccupazioni che invece continua ad avere lo schieramento a trazione Democrat con gli stessi Dem certi, come ovvio, di piazzare un po’ di gente propria a Palazzo Campanella, ma che già in caso di risultato discreto del Movimento Cinque Stelle (attenzione: nemmeno serve sia buono o addirittura ottimo, bastando invece una sufficienza stiracchiata come si diceva un tempo a scuola) andrebbe incontro a una lacerante guerra interna senza precedenti.
E sì, perché il partito lettiano i suoi favoriti ce li ha. È fin troppo evidente ed è sempre successo in qualsiasi contesto e in ogni tempo, persino in maniera smaccata alle latitudini oltre-oceaniche alle primarie per le Presidenziali americane di cinque anni fa tra la “sponsorizzatissima” Hillary Clinton e “l’ospite socialista” Bernie Sanders nelle file degli Asinelli a stelle e strisce.
Inutile scandalizzarsi, dunque. Il guaio in casa Pd, però, è che i principali designati potrebbero non centrare l’obiettivo e quindi far saltare il banco con i loro mal di pancia pronti a manifestarsi dal 5 ottobre in poi. E cosa si intenda per banco saltato, è presto detto. Un terremoto nella stanza dei bottoni senza precedenti con un regolamento di conti fra capicorrente locali, che fungerà da detonatore per sconvolgimenti a livello dirigenziale facendo venire al pettine tanti nodi. Basti pensare, a riguardo, all’intricata situazione in una Circoscrizione centro in cui, se l’M5S dovesse ottenere il seggio (in attesa anche dei risultati del fronte demagistrisiano), lascerebbe con molta probabilità al Pd porte aperte per il solo primo classificato.
Poco, davvero poco, per un’area territoriale in cui sono in tre - per giunta tutti molto referenziati - a sgomitare. Soggetti capaci di aver messo nell’angolo altri diretti concorrenti mica di scarso rilievo. Ecco il motivo per cui, un Pd sull’orlo di una crisi di nervi si è “inventato”, in verità ricorrendo a un antico cavallo di battaglia, la campagna sul voto utile contro de Magistris & co, risparmiando Mario Oliviero unicamente perché ritenuto numericamente fuori gioco. Strategia che, tuttavia, si ribadisce essere parecchio pericoloso per chi non ha fatto i conti con il discorso secondo cui con un centrodestra (sondaggio alla mano) ormai alla guida della Cittadella e del Consiglio e un gruppo Dema in grado di rappresentare una sorta di terza via da intraprendere per chiunque insegua una sorta di tangibile rinnovamento, il consenso meno fidelizzato e ideologico potrebbe appunto non andare a un centrosinistra né vincente e né di… rottura.