E la telenovela continua. Quando, in che giorno, la Calabria tornerà finalmente al voto? Ormai è un esercizio quotidiano: politici di tutti gli schieramenti, consiglieri regionali, dirigenti di partito avanzano le ipotesi più disparate, ma la verità è che non c'è una verità. O, se c'è, sta ben nascosta nella testa di Mario Oliverio, l'uomo da cui dipende il futuro prossimo di questa legislatura.

Il governatore non ha ancora sciolto la sua riserva e tiene tutti col fiato sospeso. Ed è quindi comprensibile il susseguirsi di ipotesi sulla data che finirà nel decreto con cui il presidente della Regione indirà le elezioni.

A Natale?

Quasi tutti gli osservatori, all'indomani del voto in Umbria, giuravano sul fatto che Oliverio avrebbe fissato il voto per il 15 dicembre o, al più tardi, per il 22. L'albero di Natale nei seggi richiama atmosfere inedite ma, soprattutto, comporterebbe un vantaggio evidente per il presidente stesso: cogliere impreparati tutti gli avversari, interni ed esterni.

Il voto in Umbria, con la debacle di Pd e 5 Stelle, ha fatto naufragare l'alleanza giallorossa. Il capo politico del Movimento, Luigi Di Maio, dopo aver commentato in modo netto l'esito delle Regionali («l'esperimento è fallito»), oggi dovrebbe comunicare ai parlamentari di Calabria ed Emilia Romagna il ritorno alle origini e la corsa solitaria (liste civiche escluse) in tutti i prossimi appuntamenti elettorali. Il ministro degli Esteri, malgrado le sollecitazioni ad andare avanti con i dem arrivate dal premier Giuseppe Conte e dal fondatore Beppe Grillo, avrebbe la ferma intenzione di archiviare in fretta l'intesa con il Pd, «che danneggia il Movimento come la Lega». Deputati e senatori calabresi – da sempre contrari all'accordo – accoglieranno le sue parole con sollievo.

In casa Pd le cose stanno in modo del tutto diverso. Il voto umbro ha gettato nello sconforto parlamentari e consiglieri regionali, la maggior parte dei quali aveva scommesso tutto sull'alleanza giallorossa anche in Calabria. Il risultato, ora, è che il Pd si ritrova senza alleati e non ha la benché minima idea del candidato presidente da offrire agli elettori.

È un partito allo sbando, che aspetta di sapere se domani, a Roma, potrà avere una interlocuzione chiarificatrice con la segreteria Zingaretti. Ecco perché il voto alla vigilia di Natale darebbe un vantaggio concreto a Oliverio, che si ritroverebbe in campo praticamente da solo e con almeno 5-6 liste già pronte all'uso; mentre, dall'altra parte, il Pd avrebbe solo due settimane per stilare uno straccio di programma e individuare gli uomini disposti a fare una campagna elettorale dagli esiti imprevedibili.

Senza contare l'altra parte della barricata, che vede un centrodestra ancora fermo ai box per via della contestatissima candidatura di Mario Occhiuto, osteggiato dalla Lega.

L'appello a Oliverio

Nelle ultime ore, tuttavia, si sta facendo largo un'altra ipotesi, ovvero il voto post-natalizio, fissato al 26 gennaio. A far propendere il governatore verso questa data alternativa ci sarebbero più ragioni. La prima, di ordine istituzionale: il ministero dell'Interno avrebbe avviato una moral suasion per spingere la Calabria verso la data già individuata dall'Emilia Romagna, in modo da uniformare le elezioni e ridurre i costi. Ci sarebbe un altro vantaggio nascosto tra le pieghe di gennaio.

A farlo balenare è stato lo strano comunicato diffuso ieri da Stefano Graziano e Nicola Oddati. Oltre a ribadire che «il percorso di rinnovamento avviato in Calabria resta l'unica opzione percorribile», di fatto bloccando ogni velleità residua di Oliverio, il commissario regionale e il responsabile nazionale per il Sud hanno avanzato una richiesta precisa al governatore: «Indica le consultazioni per il 26 gennaio».

A più di un analista l'appello è parso un evidente segnale di debolezza da parte della segreteria Zingaretti, che avrebbe così ammesso di non essere pronta ad affrontare il giudizio delle urne nel breve lasso di tempo che manca al 15-22 dicembre.

Epperò circolano anche altre interpretazioni. «A meno di non voler considerare ingenui Graziano e Oddati – osserva un maggiorente del Pd –, la loro dichiarazione sembra una richiesta di tregua al governatore, in vista di una possibile “collaborazione” futura».

Il Nazareno avrebbe insomma teso una mano. Ma l'eventuale quanto tacito accordo prevederebbe segnali di distensione reciproci: la segreteria che invoca più tempo e Oliverio che lo concede. Ma per ottenere cosa, in cambio?

È un esponente del cerchio magico del presidente a chiarire meglio il quadro: «Oliverio darebbe al Pd il tempo di organizzarsi e potrebbe così trovare porte aperte per riavviare un dialogo, magari finalizzato alla celebrazione delle primarie».

L'ipotetica soluzione comporterebbe diverse convenienze: il Pd, dopo i ripetuti no al governatore, e grazie alle consultazioni previste dallo statuto, salverebbe la faccia e recupererebbe una consistente area di dissidenti; Oliverio, dal canto suo, non sarebbe più costretto allo strappo e riannoderebbe i fili con un partito che non ha mai detto di voler abbandonare.

La segreteria nega

È soltanto una strana suggestione? La segreteria nazionale non ha dubbi: «Lo abbiamo detto in ogni modo: Oliverio non sarà il nostro candidato e non concederemo le primarie». Ma allora perché il governatore dovrebbe favorire il Pd non convocando le elezioni a dicembre? «Perché è pur sempre un componente di questo partito e ha il dovere di non metterlo in difficoltà».

Arduo immaginare che Oliverio si faccia bastare una simile risposta. Al momento sembra l'unica disponibile, come conferma uno dei consiglieri regionali favorevoli al patto con il M5S: «Spiragli per Oliverio? Nessuno, è fuori. Il Pd correrà da solo e senza di lui».

Intanto, la telenovela continua.

 

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