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Mastica amaro il capogruppo dei Democratici Progressisti Giuseppe Giudiceandrea. La sua proposta di legge per garantire l’applicazione della normativa nazionale sull’interruzione della gravidanza (la numero 194 del 1978) non è neanche arrivata all’esame dell’Aula, nonostante fosse stata messa all’ordine del giorno. E nonostante avesse avuto un’approvazione unanime nella Commissione competente.
La decisione di rinviare la trattazione dello spinoso argomento è arrivata nella tarda mattinata, dopo un lunghissimo e animato confronto tra i consiglieri del Pd che poi ha avuto il suo epilogo nella Conferenza dei capigruppo.
Al testo di legge erano stati presentati molti emendamenti, alcuni dei quali anche a firma dell’opposizione di centrodestra. In tanti hanno poi ammonito lo stesso presidente del Consiglio Nicola Irto sulla possibilità che il testo presentasse profili di incostituzionalità.
L’obiezione più concreta riguarda l’utilizzo dello strumento della mobilità per garantire il reclutamento dei medici “non obiettori di coscienza”, in maniera tale che in ogni struttura del territorio possa offrire un servizio adeguato alle donne che decidono di interrompere una gravidanza. Lo strumento in questione provocherebbe aumenti di spesa, secondo alcune interpretazioni, e finirebbe col costringere il governo nazionale ad impugnare la legge, essendo la Calabria in regime di piano di rientro dal debito sanitario e commissariata.
Al netto delle questioni formali e giuridiche, però, la discussione a palazzo Campanella sarebbe stata degna di un quarantennio addietro. Con posizioni ben definite all’interno del Pd, con il gruppo dei più laici (guidati da Romeo e Mirabello) a sostegno della proposta Giudiceandra e il gruppo più cattolico conservatore (Scalzo, Battaglia e anche Pasqua della Oliverio presidente) a suggerire prudenza. Secondo molti sulla stampa sarebbe finita una lettura sbagliata dell’iniziativa di Giudiceandrea che poneva l’accento in maniera eccessiva sull’interruzione della gravidanza, come se la Regione volesse favorirla.
Da qui la decisione, poi abbracciata singolarmente anche da Guccione, di rimandare discussione e approvazione della legge, magari con i giusti correttivi formali e con un messaggio mediatico più chiaro, in modo da evitare l’insorgere delle associazioni cattoliche che pure iniziavano a destarsi negli ultimi giorni.
Una soluzione “democristiana” più che mai, insomma, che ha trovato anche il consenso della minoranza e di cui non vi è stata traccia nel dibattito in Aula. Ed è forse questo il dato più preoccupante: una franca discussione in Consiglio fra sostenitori e detrattori della legge avrebbe di certo reso “fuori dal tempo” la seduta, ma avrebbe restituito trasparenza ad un confronto su un tema delicato e di interesse generale. Averlo confinato alle segrete stanze dei consiglieri sa proprio di vigliaccheria, ancora più che di politica da paleolitico.
Riccardo Tripepi