Nei giorni scorsi il consiglio comunale, dando seguito a quanto già fatto dalla Giunta la settimana prima, ha approvato l'ultimo piano delle alienazioni. Si tratta dell'elenco dei beni immobili di proprietà del Comune di Cosenza – suddiviso in due macrovoci: fabbricati e terreni – che possono essere venduti perché ritenuti non indispensabili alle attività dell'ente ma utili a fare cassa. La lista è lunghissima: un migliaio tra edifici, appartamenti e magazzini e diverse decine di terreni sparsi tra la città e la provincia. Ma è sostanzialmente identica a quella del più datato piano delle alienazioni rintracciabile nella sezione Amministrazione trasparente del sito di Palazzo dei Bruzi, quello del 2014. Gli stabili che risultano venduti rispetto ad allora sono poco meno di 150, il 14,7% del totale. E con i terreni va anche peggio.

La vera differenza con il passato

Rispetto a sei anni fa, insomma, sembra esserci soltanto una novità sostanziale: gli eventuali introiti non saranno più gestiti dall'amministrazione comunale, ma a disposizione dei commissari arrivati dopo il dissesto affinché li usino per pagare l'ingente molte di debiti accumulati in questi anni dal municipio. Non tutti però: se anche si riuscisse a vendere ognuno degli immobili presenti nella lista 2020 nelle casse entrerebbero meno di 60 milioni di euro; una cifra notevole, ma ben lontana dal riempire la voragine finanziaria in cui è sprofondato il Comune. I liquidatori – scrivono da Palazzo dei Bruzi – «potranno utilizzare i proventi delle dismissioni nei limiti di quanto risulterà effettivamente necessario ed in assenza di altre forme di finanziamento disponibili». Più che dei liquidatori, in municipio però servirebbero degli agenti immobiliari. E di quelli bravi.

Gli stabili più importanti restano invenduti

Il problema, infatti, è che il Comune di Cosenza i suoi beni immobili non riesce né a valorizzarli né a venderli da anni - pur avendo speso fiori di quattrini in consulenti per occuparsi di parte di essi - se non in percentuali minime. E le poche differenze tra l'elenco approvato nel 2014 e quello del 2020 stanno lì a dimostrarlo. I fabbricati di maggior valore come lo storico Palazzo Caselli Vaccaro, l'ex bocciodromo, la clinica “Villa della serenità” a Mendicino o l'ex caffè letterario in piazza Matteotti? In vendita (e invenduti) erano sei anni fa e tali restano, ma varrebbero milioni. La scuola materna di Serraspiga, l'ex albergo Bologna, il centro multimediale di via Rivocati, il Villaggio del fanciullo? Idem. Nullo l'appeal delle villette nel villaggio Rom di via degli Stadi: in vendita a prezzi da 98mila a 111mila euro, sono ancora tutte e quaranta a disposizione.

Qualche appartamento ceduto, ma a prezzi irrisori

Quanto alle case più a buon mercato, dal confronto tra la lista di allora e quella di oggi la cessione più redditizia è quella di un appartamento a Bosco De Nicola, del valore di quasi 47mila euro. Poi ci sono un centinaio abbondante di appartamenti di via Popilia, venduti a prezzi che nella maggior parte dei casi non arrivano a 19mila euro, e altri sparsi qua e là, spesso dal valore irrisorio: alcune casette sono costate tra i 2 e i 4mila euro agli acquirenti. Gli unici locali commerciali ceduti sono tre magazzini in piazza Vaccaro, che complessivamente hanno fatto guadagnare al Comune poco meno di 40mila euro. La lunga strada verso i 40,5 milioni di euro (sei anni fa erano poco più di 43) d'incassi ipotizzati nel piano delle alienazioni, insomma, si percorre a passo di lumaca: tra il 2014 ed oggi – un periodo più ampio di quello in cui i commissari dovrebbero riequilibrare il bilancio di Palazzo dei Bruzi – sono entrati in cassa più o meno 2,5 milioni di euro. Mantenendo questa media ci vorranno decenni per liberarsi di tutti gli stabili inutili (circa 850). Sempre che ci si riesca, ovviamente.

Nessuno compra i terreni

Le cessioni di terreni sono state ancora meno: quelli da vendere nel 2014 erano 40, per un valore stimato di 19 milioni; oggi sono diventati 51 (con alcune new entries di discreto valore, riemerse forse da qualche cassetto), ma il denaro che contano di ricavare a Palazzo dei Bruzi è ancora meno, ossia 18,3 milioni di euro. Gli unici terreni che risultano venduti rispetto a sei anni fa sono due: uno in contrada Bosco Sottano, valutato un milione e 640mila euro circa, e uno in via Asmara da 38mila euro. In pratica, per adesso, il municipio è riuscito a piazzare soltanto il 5% di quello che sperava. Non andrebbe granché meglio nemmeno contando altri quattro terreni nei dintorni del carcere che il Comune ha ceduto negli anni scorsi – assicura chi si è occupato della questione nel recente passato – ma che negli elenchi non figurano. A meno che non siano proprio quelli di Bosco Sottano, che sempre dalle parti di via Popilia è, racchiusi sotto un'unica voce.

Il Psc e le destinazioni d'uso nel limbo

Ma perché nessuno compra gli appezzamenti di proprietà del municipio nonostante ce ne siano di appetibili? La risposta più probabile è racchiusa in una sigla: Psc. Il Comune di Cosenza, infatti, non ha ancora approvato il Piano strutturale comunale, quello che un tempo si chiamava piano regolatore. O, meglio, lo aveva fatto dopo aver modificato alcune tavole nella versione definitiva rispetto a quella depositata inizialmente al Genio civile per i controlli del caso. Così dalla Cittadella hanno bloccato tutto, vanificando il voto del Consiglio comunale.
Cosa comporta tutto ciò? Che ufficialmente non si sa quale sia la destinazione d'uso dei terreni. Potrebbero essere suolo edificabile o buoni solo per coltivare patate, potrebbero essere vicini all'ipotetico nuovo ospedale o alla più desolata delle lande. Nessuno può dirlo con un documento che lo comprovi. Nessuno sa, per dire, se comprando i vecchi fabbricati delle ferrovie può abbatterli per tirar su un palazzo, né di quanti piani potrà farlo. O se acquistando nel centro storico riceverà incentivi come era stato promesso. Il vecchio piano regolatore non può essere considerato perché l'ultima variante risale alla metà degli anni '90 ed è scaduta; quello nuovo (il Psc) non è ancora arrivato nella versione corretta.

Gli affari saltati... per adesso?

E così tutto resta sospeso in una sorta di limbo urbanistico-amministrativo che potrebbe essere terreno fertile, giusto per restare in tema, per i ricorsi in tribunale, mentre i potenziali acquirenti latitano. Per quale motivo, ad esempio, un imprenditore edile dovrebbe comprare un terreno senza avere la certezza assoluta di poterci costruire sopra né conoscere le volumetrie edificabili consentite? Chi magari lo ha già fatto in questo momento ha le mani legate, lo stesso rischio per gli altri c'è ancora. Raccontano i bene informati che lo stallo venutosi a creare per l'assenza del Psc ha fatto già saltare più di un affare che coinvolgeva le aree intorno alla vecchia stazione ferroviaria e a Gergeri, la zona in cui ci si aspetta la futura espansione – con annesse potenziali speculazioni edilizie – della città.

Le voci sulle scadenze

Ma per sbloccare la situazione, si diceva, serve approvare il nuovo Psc riveduto e corretto. E farlo entro i tempi stabiliti. Quali sono? Nei mesi scorsi diversi consiglieri sostenevano di dover votare entro il 30 giugno di quest'anno, adesso ufficiosamente si parla del 30 luglio. La prima scadenza non è stata rispettata, la seconda non lo sarà nemmeno, considerato che non sono previste sedute del consiglio comunale prima di quella data. Nei corridoi di Palazzo dei Bruzi si vocifera di una nota arrivata nelle ultime ore con cui la Regione avrebbe concesso una proroga: il nulla osta della sala Catera al nuovo piano strutturale comunale dovrebbe arrivare entro il 30 settembre. Vero o no, il tempo stringe. Perché è denaro, non solo per gli speculatori: prima si vende, prima si saldano i debiti del Comune con i creditori, evitando di ridurre i servizi e tassare al massimo i cittadini per ripianare il deficit.