IL Pd ci riprova. La direzione nazionale ha deciso di non aprire un semplice congresso ma una vera e propria fase costituente. Se i dirigenti democrat gongolano per questo ardito intendimento, la base e i simpatizzanti vivono quasi una fastidiosa sensazione di deja vù. Era il 1989 quando Achille Occhetto davanti al comitato centrale del Pci, annunciava più o meno la stessa cosa. Da allora ad oggi ci sono stati cambi di nome, scissioni, rotazione vorticosa di segretari e, sullo sfondo, il grande dubbio ovvero se era necessario discutere del nome o della “cosa”.

Un dilemma che si propone anche oggi, con la corsa a tre per la segreteria nazionale. L’uomo da battere è lui, Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna che domani sarà in Calabria per capire che aria tira da queste parti. In realtà Bonaccini lo sa benissimo visto che nei giorni scorsi ha tenuto una call con la deputazione e i consiglieri regionali della Calabria. Domenica però sarà a Lamezia per un bagno di folla con il depresso popolo dem calabrese. Alle 10 terrà una iniziativa pubblica presso il Grand Hotel Lamezia; subito dopo, alle 13.15, terrà un incontro con la comunità Progetto sud di don Giacomo Panizza; il gran finale sarà invece alle 14.30 con la visita alla Fattoria della Piana, Rosarno (RC). Ne abbiamo approfittato per porre alcune domande al candidato della segreteria.

Bonaccini, con la sua e le altre candidature alla segreteria sembra un congresso a trazione Tosco-Emiliana. Che ruolo avrà il Sud nel dibattito congressuale?
«Io credo debba essere centrale e farò in modo che lo sia. Non a caso ho voluto iniziare il mio viaggio di ascolto in almeno 100 comuni italiani proprio dal Mezzogiorno: una settimana fa ero in Puglia, Molise e Abruzzo, domani in Calabria. Il Sud rappresenta una grande questione nazionale e dal suo successo dipende il successo dell'Italia, non solo del Mezzogiorno. Per questo bisogna cambiare le cose e serve un progetto di sviluppo vero, di servizi e di risposte. A partire dal lavoro, da una crescita sostenibile che guardi alla salvaguardia dell’ambiente, dalla legalità e dal creare le condizioni perché i ragazzi e le ragazze possano costruirsi una vita, senza dover andarsene da qui: credo che sia il più grande progetto nazionale che un partito di sinistra e progressista debba darsi».

Certamente  il lavoro sarà al centro del dibattito congressuale. Cosa sa ne pensa del RDC e come si può incentivare l'occupazione al Sud?
«Garantire una misura di sostegno a chi è senza occupazione o in difficoltà economica è doveroso ed è ciò che accade nella maggioranza dei Paesi europei. E ricordo che l’Emilia-Romagna, insieme alla Puglia, fu la prima regione a introdurne una – il Reddito di solidarietà – prima ancora del Reddito di cittadinanza. Che è necessario ma che andrebbe riformato lì dove non ha funzionato: la presa in carico, la ricerca e l’offerta di un lavoro. Il Governo ha invece deciso di tagliare il Rdc e 600mila persone fra pochi mesi rischiano davvero di rimanere senza alcun aiuto e senza una alternativa, una decisione ingiusta e sbagliata. Lo ripeto, il Sud è una questione nazionale e serve un piano nazionale. Ci sono però alcune proposte da cui partire: rendere strutturale il taglio del 30% dei contributi per l'assunzione di lavoratrici e lavoratori, che le soluzioni temporanee non risolvono; sperimentare al Sud un pacchetto "burocrazia zero" per le imprese che aprono o ampliano un'attività, con l’autorizzazione unica, che nella mia regione stiamo attuando con la legge sull’urbanistica insieme a quella per l’attrazione di investimenti: dunque, si può fare; le Zone economiche semplificate (ZES), con fiscalità di vantaggio e dimezzamento dell'Ires, insieme al taglio contributivo e alla burocrazia zero. E serve rinnovare la pubblica amministrazione, con anche l’assunzione di giovani preparati, per guidare la transizione ecologica e digitale: ricordo che il 40% dei fondi del PNRR sono stati stanziati nel Mezzogiorno, un’opportunità storica che va colta, ma la realizzazione dei progetti passa per una macchina pubblica efficiente».

Questa questione della redistribuzione delle risorse al Sud è alquanto spinosa. Lei è molto possibilista sull'autonomia differenziata. Le piace la bozza Calderoli e che garanzie possono avere le regioni del Sud sui LEP?
«Io sono per l'autonomia giusta e ribadisco con molta chiarezza che sono e sarò contrario a qualsiasi progetto che penalizzi il Sud e spacchi il Paese. Viceversa, autonomia giusta per Regioni e Comuni vuol dire liberare potenzialità, ridurre la burocrazia, semplificare la vita per cittadini e imprese e facilitare gli investimenti. Così come previsto dalla Costituzione. Una posizione fatta propria da tutto il Pd nazionale, in un documento definito col contributo anche dei presidenti Emiliano e De Luca. Aggiungo che per noi ci sono prerequisiti indispensabili, primo fra tutti la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire in tutto il Paese allo stesso modo, con le risorse necessarie a realizzarli: senza, per noi non ci potrà essere alcuna autonomia differenziata, e quindi nessuna regione corre rischi in tal senso. Serve poi una legge quadro valida per tutte le Regioni e il pieno coinvolgimento del Parlamento. Credo anche che dalle materie delegate vadano tolte in questa fase istruzione e sanità, che devono rimanere statali. Le Regioni del Mezzogiorno non chiedono più centralismo ma risorse per garantire servizi e diritti dei cittadini, ma nessuno può pensare di approvare una riforma di questa portata con il consenso solo di una parte del Paese».

Torniamo al Pd, allora. Lei sostiene che il governismo abbia nuociuto al Pd. Che tipo di opposizione dobbiamo aspettarci?
«Rigorosa, seria, che ad ogni no accompagni una controproposta alternativa a quella della destra. A partire dal lavoro e dalla difesa sanità pubblica, su cui il nuovo Pd che vogliamo costruire sarà inflessibile. Di fronte a un Governo che, in termini reali, non stanzia un euro in più e guarda a un modello di sanità a prevalenza privata, faremo una battaglia durissima in Parlamento e nel Paese, perché noi vogliamo che un povero abbia le stesse possibilità di cura di un ricco. L’opposizione potrà farci bene, ma io voglio costruire un Pd che la prossima volta che si voterà torni a governare il Paese perché avrà vinto alle urne, per aver convinto gli italiani».

Come farete a limitare l'erosione dei consensi che state subendo a sinistra dal M5S e al centro dal Terzo Polo?
«Rimettendo al centro il Pd, cosa che farò. Insieme a militanti, elettori e amministratori nei territori vogliamo rigenerare il Pd, farne un partito popolare e non populista, che sappia ascoltare e parlare alle persone, nel quale sia coinvolta la base e non decidano in pochi, con idee chiare e un nuovo gruppo dirigente. E a quel punto chi nel centrosinistra vorrà vincere le elezioni e realizzare un’agenda progressista e riformista per il Paese, dovrà confrontarsi col Pd, a meno che non scelga di fare da solo e quindi di lasciare che la Meloni governi per i prossimi vent’anni. E’ ciò che stanno facendo 5 Stelle e Terzo Polo, che vedo impegnati più a criticare il Pd che a fare opposizione al Governo: credo invece che ci siano temi sui quali battersi insieme, a partire, lo ribadisco, dalla difesa della sanità pubblica».

Avverte un rischio di ulteriore scissione o scomparsa del PD? Esistono ancora le ragioni politiche che hanno portato alla sua nascita?
«“Io, Elly Schlein e Paola De Micheli abbiamo detto chiaramente che ognuno di noi aiuterà chi vincerà nel rigenerare il Pd. Atteggiamento che sono certo avranno anche altri eventuali candidati alla segreteria. Nessun pericolo di scissione, o di scomparsa del Pd. Sono invece convinto che si debbano recuperare i valori e le ragioni con cui fondammo il Partito democratico, per farne un partito riformista e progressista della sinistra europea, che mette al centro il lavoro e la lotta alle diseguaglianze, i diritti e i doveri delle persone, la salvaguardia del pianeta e le pari opportunità per tutti. Il Pd è il mio partito, la mia comunità: ho raccolto l’invito di tanti a fare un passo avanti e io lo rivolgo a tutti i militanti, volontari e amministratori, facciamolo insieme».

Chiudiamo con la classica domanda da un milione di dollari: come farà a spazzare via le correnti nel partito?
«Attraverso un cambio radicale. Anche del nuovo gruppo dirigente. Le correnti così non hanno più senso, hanno smesso di produrre idee e hanno finito per premiare la fedeltà e non merito e proposta. Non chiedo il sostegno di alcuna corrente e nessuno votando Bonaccini avrà garanzie o rendite di posizione. Chiedo invece a tutte le donne e a tutti gli uomini del Pd di mettersi in gioco per costruire insieme un partito progressista e riformista, che sia popolare e non populista, plurale e aperto».