Non è uno stop, ma di certo è uno schiaffo all’Autonomia differenziata pensata e approvata dal governo Meloni. La Corte costituzionale ha chiuso in serata la camera di consiglio durata due giorni sui rilievi posti dai ricorsi delle regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Toscana. E ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell'intera legge, ma – ha smontato alcuni degli aspetti principali della legge Calderoli e ravvisato l’incostituzionalità di sette profili di legge. L’esito, dunque, è forse più pesante di quanto temesse Roberto Calderoli, il ministro della Lega che ha caldeggiato la riforma più di tutti. Le motivazioni saranno depositate entro le prossime settimane, ma in due dense pagine i giudici spiegano in sintesi i contenuti della scelta. E chiedono al Parlamento di colmare i vuoti costituzionali della riforma. Insomma, si tornerà in Aula per riallineare la legge

Andiamo con ordine: la Corte costituzionale ha ritenuto “non fondata" la questione di costituzionalità dell'intera legge sull'Autonomia differenziata delle regioni ordinarie (n. 86 del 2024), considerando invece "illegittime" specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo.  

Tra le altre cose, in attesa del deposito della sentenza l'Ufficio Comunicazione e stampa della Consulta fa sapere che secondo il Collegio, l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l'attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di Autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana.

Essa riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di Autonomia, i principi dell'unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell'eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell'equilibrio di bilancio. I Giudici ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell'articolo 116, terzo comma, non debba corrispondere all'esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni.

I giudici: l’Autonomia tuteli il principio di sussidiarietà

Alla luce della centralità di questo principio, la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra Stato e Regioni «non» deve «corrispondere all'esigenza di un riparto di poteri tra i diversi segmenti del sistema politico» ma deve avvenire «in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione». Lo afferma la Consulta sottolineando che l'Autonomia «deve essere funzionale a migliorare l'efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini».

Il ruolo del Parlamento limitato nella scelta dei Lep

La Corte Costituzionale, nell'esaminare i ricorsi, ha anche ravvisato l'incostituzionalità «del conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Lep) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento»: in sostanza, la delega al Governo per definire i Lep (standard minimi per garantire i diritti civili e sociali) è troppo generica e il Parlamento dovrebbe avere un ruolo più attivo in questa decisione.

La previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri a determinare l'aggiornamento dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), e il ricorso alla determinazione dei Lep attraverso il Dpcm, sono tra i profili della legge sull'Autonomia ritenuti incostituzionali dalla Consulta. Inoltre la Corte costituzionale ha ravvisato l'incostituzionalità anche riguardo al conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali priva di idonei criteri direttivi, da cui ne conseguirebbe che la decisione sostanziale venga rimessa nelle mani del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento.

No alla modifica delle aliquote dei tributi erariali

La Consulta ha individuato, poi, l'incostituzionalità della «possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l'andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che - dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all'esercizio delle funzioni trasferite - non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni», spiega la nota della Consulta sull'Autonomia.

Incostituzionale l’estensione alle Regioni a Statuto speciale

Tra i profili di incostituzionalità c’è anche l'estensione della legge sull'Autonomia, e dunque dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione alle regioni a statuto speciale, che «invece, per ottenere maggiori forme di Autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali».

La Corte costituzionale, esprimendosi sul ricorso contro l'Autonomia differenziata presentato della Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, pone i paletti su alcuni provvedimenti della legge che non viola i principi della costituzionalità. Su questioni legate ai diritti di tutti i cittadini il Parlamento dovrà sistemare le cose.