Ciao compagno Quirino, ciao spavaldo e onesto Comunista

Ho partecipato alla cerimonia funebre di Quirino Ledda. Non potevo mancare. L’ho fatto non solo per rispondere ad una esigenza giornalistica, ma soprattutto perché per me, Quirino ha rappresentato un tassello importante nella mia crescita umana, politica e culturale
9 maggio 2015
14:35

Per usare le parole di una bellissima canzone di Renato Zero, “i migliori anni della nostra vita”: la militanza comunista. Ho conosciuto Ledda che avevo poco più di un 11 anni, al mio paese, avamposto di storiche battaglie del movimento bracciantile calabrese, era il 1976, una data importante nella storia del PCI, erano gli anni delle grande avanzate comuniste del PCI di Berlinguer. Ledda era il segretario della Federbraccianti, sigla della CGIL degli anni 70 e 80. Il 1976 a Nocera Terinese era in corso una delle ultime lotte per la terra e il salario del movimento bracciantile, una lotta tutta al femminile, lo sciopero delle raccoglitrici di olive. Quasi mille raccoglitrici di olive scesero in lotta contro gli agrari per un salario giusto con uno sciopero che si protrasse per 40 giorni. Donne indomite e fiere le braccianti del mio paese che affrontarono i padroni, le forze di polizia e si tirarono dietro mariti e figli. Da ogni parte della Calabria accorsero militanti della sinistra, intellettuali, femministe, giornalisti per supportare quella lotta. L’Unità si incaricò finanche di una colletta nazionale per sostenerle. Alla testa di quel movimento c’era il giovane e spavaldo Comunista Quirino Ledda, segretario regionale della Federbraccianti. Quirino era umile con i semplici, ma aveva il carisma del capo sindacale, un inconfondibile accento sardo e l’enorme pipa che non mollava mai gli davano quel fascino che lo ha accompagnò fino all’ultimo. Le raccoglitrici di olive vinsero quella battaglia, al punto che, Rai 2, decise di celebrare quella vittoria con una diretta televisiva la sera del primo maggio del 1976. La mattina di quel primo maggio si fece una marcia di occupazione simbolica delle terre alla quale parteciparono 10 mila persone giunte a Nocera Terinese da ogni parte della Calabria. Passò qualche anno e io ero diventato un giovanissimo attivista e dirigente della FGCI, in occasione della Festa de L’Unità, i compagni della sezione decisero che era giunto il momento del mio battesimo con la piazza, avevo 16 anni e a me toccò di comiziare prima dell’intervento conclusivo di Quirino Ledda che, nel frattempo, era stato eletto consigliere regionale del PCI. Quel battesimo me lo ricordava sempre, anche quando ci trovammo su fronti contrapposti durante la fase congressuale con la quale decidemmo di trasformare il PCI in PDS. I mesi successivi di quegli inizi degli anni 80 la FGCI, il PCI si ritrovarono in una battaglia antimafia a Limbadi, dove era stato eletto sindaco il boss Mancuso, in quella battaglia, Ledda fu in prima fila, esposto in prima persona. Battaglia vinta. Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, decise di sciogliere il consiglio comunale. Il 1982 Ledda subì un attentato pesantissimo, una bomba fu collocata davanti all’ingresso del suo appartamento, un miracolo evitò la strage. Un attentato di cui la moglie portò addosso le conseguenze fino alla fine dei suoi giorni. Iresponsabili di quell’ignobile attentato non furono mai assicurati alla giustizia ma, in tanti, negli anni successivi, ipotizzarono che quella pesante intimidazione fosse strettamente collegata alla battaglia di Limbadi. Quirino Ledda comunque, non abbassò mai la testa, proseguendo indomito le sue battaglie per una Calabria migliore. La battaglia per la pace, contro il nucleare e, da vice presidente del consiglio regionale,la battaglia contro la centrale a carbone di Gioia Tauro. Qualche anno più tardi toccò a me provare l’ebrezza, si fa per dire, di una pesante intimidazione. Poco più che ventenne fui eletto assessore all’urbanistica del mio comune e, in quella funzione, mi trovai a fronteggiare il fenomeno della speculazione edilizia sulla costa, ormai avevo compiuto anche la famosa “scelta di vita”, ero diventato funzionario del PCI. Sprezzante del pericolo, con la forza dei miei ideali e l’energia dei miei vent’anni, iniziai a bocciare progetti e bloccare licenze per miliardi, il segnale non tardò ad arrivare, in una notte di maggio del 1988 mi fecero saltare l’auto sotto casa. La reazione del PCI fu immediata, erano anni difficili quelli, all’inizio degli anni 80 erano stati ammazzati Valarioti e Lo Sardo e, dunque, il PCI, non sottovalutava mai gli attentati ai suoi dirigenti. Ma di quella vicenda, ricordo in particolare l’arrivo a casa mia di Quirino Ledda, era quasi l’alba, non tanto per incoraggiare me (pazzo e incosciente come tanti comunisti in quell’epoca), ma per tranquillizzare mia madre. Ledda non conosceva mia madre, ma la tenne teneramente abbracciata per alcune ore. Una sensibilità, una dolcezza che non dimenticherò mai. Quirino Ledda era uno spavaldo, onesto e colto comunista. Non abiurò mai alla sua storia. Un politico di un’altra razza, quasi un marziano, in quest’epoca di voltagabbana, di trasformisti e di cultori del pensiero leggero. Ovviamente, Ledda fu anche altro: difensore della Cultura, dei beni architettonici e ambientali della nostra regione, ma io mi fermo qua, in questo ricordo più che altro personale, sperando che si possa ricordare Ledda in maniera più approfondita nei prossimi mesi e trasmettere così, alle nuove generazioni che esiste un impegno politico degno di essere rispettato. Oggi, voglio ricordarlo com’era, come l’ho conosciuto, come l’ho percepito. Ciao, spavaldo, colto, elegante e onesto comunista. Ciao compagno Quirino che la terra ti sia lieve, non so dove andrai, non so se ci ritroveremo da qualche parte, ma sono sicuro che, se da qualche parte esiste un cenacolo dei giusti, in quel luogo ti ritroveremo.


Pasquale Motta


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