Del problema dovrà farsi carico la Regione Calabria. Lasciare che interi territori si spopolino significa restare inermi dinnanzi ad un dramma sociale che, presto o tardi, chiederà il conto di quanto non fatto
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Una questione della quale dovrà farsi carico il governo della Regione Calabria riguarda il problema del cosiddetto spopolamento, unito alla disurbanizzazione dei centri minori. Un fenomeno, questo, che certamente interessa l’intero Mezzogiorno – e dunque l’Italia intera –, ma che in Calabria, fanalino di coda (e, per certi aspetti, capro espiatorio) di molte, numerose classifiche che periodicamente vengono stilate e diffuse, assume una veste drammatica.
Intervenire sul “particolare” per salvare il “generale”
Lo spopolamento di intere aree del Sud è causa e, al contempo, effetto della corrosione generalizzata (la questione riguarda infatti la demografia, la società cosiddetta civile, l’economia del territorio, gli stessi rapporti di forza tra le varie fasce della società) del tessuto sociale del Meridione e, di riflesso, dell’Italia intera. La disurbanizzazione dei centri, minori ma non solo, della Calabria – ma più in generale del Meridione – fa sì che quella che dovrebbe essere la futura classe dirigente, provvista degli strumenti e delle conoscenze utili a trasformare l’esistente “particolare” sotto la spinta di interessi più compositi, “generali”, sia decapitata da una situazione di fatto definibile come equilibrio di sottosviluppo: un’economia, quella del Mezzogiorno, da tempo sussidiata, con una capacità produttiva globalmente insufficiente e con flussi di spesa pubblica sempre più diradati, che dovrebbero compensare un tessuto produttivo pressoché assente.
Un focus sul Recovery Fund: opportunità e rischi per il Sud
Il Covid-19 ha, per certi aspetti, assunto una funzione epifanica portando alla luce quella che è una crisi politica diffusa, strisciante, ultratrentennale: un Sud sempre più disfunzionale rispetto alle logiche che guidano l’azione, economica e non solo, dell’Unione Europea. Su questa scia, a tratti drammatica, entra in gioco il cosiddetto Recovery Fund: se la programmazione degli interventi non sarà orientata a ridurre le disfunzioni che interessano il Meridione, tra cui lo spopolamento che assume certamente un’importanza prioritaria, il rischio concreto è che i divari territoriali si amplino mettendo a rischio la tenuta degli assetti politici nazionali, con un Nord Italia sempre più orientato verso le logiche, produttive ma non solo, del centro d’Europa, ed un Sud abbandonato a se stesso, spopolato, sempre più depauperato di energie intellettuali in grado di stravolgere gli assetti che, nel corso di questa lunga crisi politica, si sono sedimentati. Si è infatti creato un blocco sociale assai variegato, tanto abile nel procurarsi consenso interno ed appoggio esterno quanto disinteressato, ovviamente, a cambiare la situazione esistente.
Che fare?
Una classe politica che non avverta l’esigenza, attraverso una programmazione di qualità ed azioni politiche caratterizzate da una visione chiara degli obiettivi da raggiungere (cosa dovrà essere la Calabria da qui al prossimo decennio?), di affrontare il problema dello spopolamento e della disurbanizzazione dei centri, e non solo quelli minori, è una classe politica che rinuncia aprioristicamente ad interpretare il suo ruolo di preminenza dentro una società globale sempre più complessa. È compito della politica, infatti, svolgere una funzione di compensazione tra istanze sociali per loro natura variegate e divergenti.
Lasciare che interi territori, il più delle volte di rara bellezza, si spopolino senza neanche tentare di interpretare le cosiddette best practice dei vicini di casa, o le puntiformi ma significative esperienze che provengono dai settori della cosiddetta società civile, e che aspettano solo di essere innervate in una rete più ampia la cui creazione giocoforza spetta alla Politica, significa restare inermi dinnanzi ad un dramma sociale che, presto o tardi, chiederà il conto di quanto non fatto.