Domani a Roma l'udienza che potrebbe rappresentare per l’Italia un significativo passo in avanti: la Corte costituzionale esprimerà il suo giudizio sulla legge 40 del 2004
Tutti gli articoli di Opinioni
PHOTO
Domani, anche grazie all’Associazione Luca Coscioni, sarà una bella giornata. L’8 marzo con il suo carico di simbolismo, ma anche di retorica (che non è comunque poco) è appena trascorso, ma certo l’impegno per il riconoscimento di nuovi diritti per la donna non si ferma alle sole date celebrative.
Domani mattina, a Roma, in Corte costituzionale si terrà l’udienza pubblica che potrebbe rappresentare, per l’Italia, un significativo passo in avanti verso il cammino dei diritti delle donne (in generale) single (in particolare).
La Corte costituzionale è chiamata a esprimere il suo giudizio sul divieto, imposto dall’articolo 5 della legge 40 del 2004, che esclude le donne single dall’accesso alla procreazione medicalmente assistita (PMA), riservando questa tecnica esclusivamente alle coppie eterosessuali, sposate o conviventi in modo stabile.
La legge 40 del 2004 è già stata interessata da ben quattro dichiarazioni di incostituzionalità parziale che hanno sonoramente bocciato quel Legislatore (formato quasi tutto al maschile) che ha normato sul corpo delle donne in modo spesso irragionevole e a-scientifico.
Non si può pronosticare una decisione della Corte, ma il solo fatto che la questione sia giunta al suo vaglio sta a dimostrare come il lungo percorso per una piena affermazione delle donne nella libertà del proprio corpo e dello spazio che occupano (nelle relazioni, nelle affettività, negli interessi lavorativi, economici, …) è un fiume in piena che sovente incontra delle barriere che prima o poi riuscirà però a rimuovere.
Il divieto assoluto di accedere alla procreazione medicalmente assistita da parte di donne single, presente nella l. n. 40 del 2004, è una di queste barriere.
Tale divieto, per l’intanto, appare non dirimente per una legge che tratta di tecniche procreative se solo si guarda, al di là degli stretti confini nazionali, verso tutti quei Paesi in cui le tecniche di fecondazione assistita sono accessibili anche da parte di donne single e, quindi, sono nella possibilità anche di quelle donne italiane che possono aggirare il divieto recandosi all’estero facendo ricorso al cosiddetto ‘turismo procreativo’.
Quest’ultimo – almeno a noi così pare – è solo un sintomo di un problema sociale e non già una argomentazione giuridica per rilevare l’irragionevolezza della norma; diversamente, il solo fatto che una pratica sia esercitata all’estero determinerebbe la sua legittimità nel nostro ordinamento. Ribadito questo dato di fatto, la possibilità di ricorrere alla PMA all’estero da parte anche delle donne single rimane pur tuttavia un indizio, da tenere in considerazione quando si vuole ragionare sulla opportunità politica di una scelta legislativa.
Volendo, però, spostare l’attenzione dal piano dell’opportunità a quello della legittimità costituzionale della scelta legislativa, i profili di irragionevolezza appaiono molteplici, nella misura in cui il divieto non trova alcuna motivazione tale da giustificare la discriminazione presente nel testo di legge.
Infatti, il nostro ordinamento già ammette e tutela la famiglia monogenitoriale: si pensi all’adozione da parte (anche) di donne non sposate (Cass. civ., ord. n. 17100 del 26 giugno 2019, in materia di adozione speciale ex. art. 44 lettera d) legge 184/1983).
La stessa Corte costituzionale ‒ con la sentenza n. 161 del 2023 ‒ ha stabilito che una donna rimasta sola (per esempio dopo il divorzio) possa procedere con l’impianto in utero di un embrione precedentemente formato (e crioconservato), garantendo così il diritto alla nascita in un contesto familiare che può anche non essere “non conflittuale”. A seguito di tale decisione, del resto, il Ministero della Salute ha sancito che le donne separate o vedove hanno il diritto al trasferimento in utero dell’embrione crioconservato, a condizione che vi sia stato un consenso firmato in precedenza dalla coppia per la fecondazione e che questa sia già stata effettuata.
L’articolo 5 della legge n. 40/2004, insomma, come ha ben messo in luce il giudice che ha sollevato il dubbio sulla legittimità della norma, con il suo divieto assoluto sacrifica la libertà di autodeterminazione nelle scelte procreative, non tutelando le esigenze di procreazione (richiamate nella sentenza n. 151/2009 della Corte costituzionale) né il diritto della persona di scegliere di formare una famiglia anche con figli non geneticamente propri (così come sancito dalla sentenza n. 162/2014 della stessa Corte costituzionale).
Dinanzi alla Corte, domani mattina, verranno anche richiamate le esigenze di tutela del diritto alla salute della donna e alla sua integrità psico-fisica, allorché impedire l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita alla donna single può costituire un ostacolo alla possibilità stessa di diventare madre, anche a prendere in considerazione il fattore temporale legato alla sua fertilità.
Attendiamo ora il pronunciamento della Corte costituzionale, sperando che l’affermazione, la difesa e la rivendicazione dei diritti civili non rimangano mero appannaggio di associazioni private (meritoriamente ‘rappresentate’ dalla Associazione Luca Coscioni) ma siano nella disponibilità politica del nostro Legislatore, purtroppo sempre più assente, in ritardo e affetto da cecità su tante questioni etico-sociali.