Corrado Alvaro, già dalla fine degli anni Quaranta, si è trovato a riflettere, in un articolo intitolato L'urlo del torrente poi incluso nel 1958 in Un treno nel Sud, sulla ben nota storia delle opere pubbliche in Calabria. Lo scrittore di San Luca le intese, sin da allora, come un mero palliativo alla disoccupazione, più precisamente – spiegava – come un rimedio alla mancanza di lavoro che induce tanto le imprese quanto i lavoratori a una concezione immutabile di società, alla convinzione che il denaro dello Stato dovesse essere destinato esclusivamente alla realizzazione di un'idea ingessata di progresso.

Quello stesso Stato che, dopo aver ignorato per decenni una regione, finendo per non essere considerato a sua volta da essa, non ha guadagnato alcun prestigio perché, di governo in governo, ha proposto, da un lato, soluzioni di carattere emergenziale, in una terra troppo pericolante e schiava della furia improvvisa degli elementi, dall'altro, politiche di riqualificazione territoriale che hanno seguito e continuano a seguire solo ed esclusivamente le logiche di mercato, finendo per acuire le differenze con le altre regioni del Meridione e persino quelle fra le varie aree della Calabria stessa.

La soluzione radicale auspicata da Alvaro, «lavoro e cura di intere generazioni», non si è mai cercata con la decisione necessaria, tanto che imponenti erano, già negli anni in cui scriveva, «i mali prodotti nella struttura della regione»: una struttura formata da organismi locali, tanto economici quanto burocratici e amministrativi, il cui potere ha finito per inibire qualsiasi ulteriore considerazione intorno all'opportunità per la Calabria di autogovernarsi, di scegliere una strada che andasse in una direzione meno prossima a quella intrapresa dai dictat della modernità ma, magari, più adatta alle sue corde.

In fin dei conti, a farne le spese sono stati il popolo, le cui virtù si sono progressivamente ridotte «allo stretto mondo familiare» ma che poi si è disgregato sul versante pubblico, e il paesaggio, che ha tuttora l'impronta di ciascuna delle traversie da cui è stato funestato, ma anche angoli di incomparabile bellezza. 

Oggi, nel pieno di una profonda crisi di identità comunitaria e territoriale, si insiste nel barattare natura e anima dei luoghi con pochi posti di lavoro che accontentano tutti, ma che vengono retribuiti sempre peggio e non hanno il minimo contenuto sociale.