Troppi vivono senza cure mediche, acqua potabile, scuole. È il prodotto di un sistema globale profondamente ingiusto. Servono mani tese e cuori aperti
Tutti gli articoli di Opinioni
PHOTO
"La misura della grandezza di una società si vede da come tratta i suoi bambini”, diceva Nelson Mandela. Se davvero vogliamo conoscere il volto più autentico di un continente, guardiamo negli occhi dei suoi bambini. In molte zone dell’Africa, quegli occhi non brillano di sogni, ma sono appannati dalla fame, dalla malattia, dalla paura. Non è colpa loro essere nati in terre aride, dimenticate, martoriate dalla povertà, dalla guerra, dall’indifferenza.
Eppure, sono loro a pagare il prezzo più alto, con la loro infanzia spezzata, con il silenzio assordante delle loro speranze negate.
La citazione di Nelson Mandela ci parla con forza: la dignità di una società non si misura dalla sua ricchezza economica, dal potere militare o dalle sue tecnologie. Si misura da come tratta i suoi bambini. E, in senso più ampio, da come si prende cura dei bambini di tutto il mondo, non solo dei propri. Perché la solidarietà vera non conosce confini, non fa distinzioni geografiche, non si ferma alla soglia di casa.
Ma oggi, quanti bambini africani vivono senza accesso all’acqua potabile, senza cibo, senza cure mediche, senza scuola? Milioni. Milioni di nomi che non conosceremo mai. Eppure ognuno di loro ha un volto, un cuore, una voce che merita di essere ascoltata.
Quando parliamo di povertà, non stiamo parlando solo di una condizione materiale. Stiamo parlando di un sistema globale profondamente ingiusto, che accumula ricchezze da un lato e lascia vuoti dall’altro. È una povertà che non nasce da un destino, ma da precise scelte o, peggio ancora, da mille non-scelte. Da omissioni. Da silenzi.
E allora, cosa possiamo fare noi? Possiamo continuare a guardare altrove, a pensare che il problema sia troppo grande per essere affrontato. Oppure possiamo iniziare a coltivare una solidarietà vera, concreta. Anche un piccolo gesto, anche una scelta consapevole, può cambiare qualcosa. Non per tutti, forse. Ma per qualcuno sì. E quando cambia la vita di un bambino, cambia un pezzo di mondo.
Aiutare non è una concessione. È un atto di giustizia. È dire: "Io ti vedo. Io non ti ignoro. Io scelgo di esserci". Non bastano le parole, servono mani tese, cuori aperti, occhi capaci di vedere oltre il proprio orizzonte.
E allora vi lascio con una domanda: quando oggi tornerete nelle vostre case di mattoni, guarderete i vostri figli sani e sazi, sentirete il rumore sicuro della vostra quotidianità e non quello della disperazione, chiedetevi se possiamo davvero definirci umani restando indifferenti di fronte a tanta sofferenza.