Una delegazione parlamentare guidata dal Senatore Saverio De Bonis è andata a visitare il Museo Cesare Lombroso dell’Università di Torino. Ad accompagnare il senatore, vari uomini di cultura o protagonisti delle polemiche che, da ormai 12 anni, periodicamente si sollevano sul discusso Museo torinese: Roberto d’Alessandro, Amedeo Colacino, Enrico Fratangelo, Giuseppe Gangemi, Domenico Iannantuoni, Valentina Nicolì ed Emilio Zangari. La domanda è sempre la stessa:se il Museo mette in mostra i reperti di una teoria che è stata razzista e della peggior specie, per questo diventa esso stesso un Museo razzista? La risposta dei difensori del Museo è sempre quella ed è sempre sbagliata. Così, il giorno dopo la visita, la sintetizza Massimo Giovara, presidente della commissione cultura del Comune di Torino: "È come se si chiedesse di abolire il museo di Auschwitz perché si tratta di razzismo, invece si tratta del contrario".
No! Non è la stessa cosa! Il Museo di Auschwitz è un museo degli orrori e delle mostruosità. Noi critici del Museo Lombroso non ci siamo mai permessi di mettere sullo stesso piano il Museo Lombroso con il Museo di Auschwitz.

Anche perché non esiste ad Auschwitz una sezione dedicata al dottor Josef Rudolf Mengele, laureato in Antropologia e Medicina in cui si presentino i suoi esperimenti sui gemelli come errori scientifici. Di lui non si dice che è stato uno scienziato che ha fatto degli esperimenti e che ha sbagliato nel metodo. Di lui si dice, giustamente che è stato un militare e criminale nazista. La validità degli esperimenti di Mengele ad Auschwitz non è mai stata presa in considerazione, data l’abnormità delle sue teorie.

Noi critici del Museo Lombroso ci limitiamo a constatare che il Museo Cesare Lombroso è stato inserito in un ambizioso progetto, dell’Università di Torino, costituito dal Museo Lombroso, dal Museo della Frutta e dal Museo di Anatomia. Questa cornice contribuisce a dare al Museo un’autorevolezza che, altrimenti, non avrebbe. Inoltre, constatiamo che l’Università di Torino ha preferito puntare su questo nuovo Museo piuttosto che puntare sulla riqualificazione del Museo di Antropologia ed Etnografia il quale esponeva anche preziosi manufatti egizi (esponeva perché il Museo è chiuso al pubblico dal 1984 in quanto il palazzo che lo ospita non risponde più ai criteri di sicurezza).

Insomma, l’Università ha privilegiato il Museo Lombroso rispetto a un Museo costruito secondo i criteri scientifici adottati dalla Società Italiana di Antropologia ed Etnologia (società dalla quale Lombroso viene radiato nel 1882). A questo proposito, va ricordato che Paolo Mantegazza, occupando la cattedra fiorentina di Antropologia fonda, nel 1871, insieme a Felice Finzi, sia la Società, sia il primo Museo di Antropologia ed Etnografia, sia la rivista ufficiale della Società: l’Archivio per l’Antropologia e la Etnologia (che pubblica un volume l’anno).

Tra i motivi per l’espulsione di Lombroso dalla Società ci sono varie pesanti violazioni delle regole che gli Antropologi ed Etnologi si sono dati. Dell’esistenza di queste violazioni dei canoni scientifici lo stesso Museo ne è consapevole. Si legge, infatti, nella stanza 5 del Museo, alla locandina con titolo Lombroso e la medicina sociale: Lombroso “raccoglie molti dati a favore dell’ipotesi tralasciando quelli sfavorevoli”. Solo che questa è solo una parte delle violazione dei canoni scientifici che ha operato Lombroso nella sua vita. Di seguito, un breve elenco delle violazioni:

Nel 1872, Andrea Verga contesta l’interpretazione della fossetta occipitale mediana fornita da Lombroso dalle pagine della rivista di Mantegazza e Finzi. Lombroso risponde, sempre sulla rivista della Società, con un articolo a sua firma esclusiva e con un secondo articolo a firma congiunta con Giulio Bizzozzero nel 1873. In sostanza, risponde a Verga che se questi fosse capace di trovare una fossetta occipitale mediana altrettanto grande di quella di Villella in un uomo sicuramente onesto, avrebbe avuto ragione di obiettare. È la grandezza della fossetta la prova principe dell’atavismo di Villella e dei Meridionali. Verga ci mette tre anni, allerta i suoi corrispondenti in Italia e in Europa, e la fossetta viene trovata nel cranio di un anziano e onestissimo signore di Bologna. Verga pubblica questa scoperta nel volume del 1876 dell’Archivio di Antropologia ed Etnografia, la rivista della Società. Lombroso avrebbe dovuto rispondere. Sceglie invece di non farlo e di considerare non degna di attenzione la prova.

Lombroso, sulla rivista della Società, fino a quel momento, ha pubblicato un articolo a volume. La rivista gli nega ospitalità per altri articoli su temi diversi dalla fossetta occipitale mediana. Per reazione, egli smette di pagare le quote di associazione. Il suo amico Mantegazza gli scrive una lettera scherzosa in cui, però, lo avvisa che continuando così, egli rischia di essere radiato dalla Società. Nel 1880, Lombroso si fa una sua rivista (Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale) con due condirettori, Enrico Finzi che diventerà segretario del PSI e, poi, aderirà al fascismo e Raffaele Garofalo un giudice, antisocialista, che condivide con Lombroso la richiesta della pena di morte per gli omicidi e, sua sponte, la richiede anche per quanti abbiano malattie psichiche, cioè difetti psichici. Garofalo è considerato un anticipatore delle teorie naziste. L’ormai ex amico Paolo Mantegazza attacca duramente Lombroso e questi reagisce sul piano personale, nello scritto Polemica in difesa della scuola criminale positiva: “Mantegazza, nome caro all’Italia e un tempo a noi stessi … insinua, che il giorno in cui egli mi ha veduto misurare la temperatura anale di Passannante per giudicarne la imputabilità, comprese che la mia scuola era pazzesca … egli rinnova, qui, quelle poco serie accuse che mi movevano … quando io introdussi il metodo sperimentale clinico ed antropometrico nella diagnosi psichiatrica”. La polemica è destinata a durare anni. Tuttavia, solo nel 1893, Mantegazza tira fuori il rospo più grosso che si porta dentro. Lo scritto in cui lo fa ha per titolo Di alcuni recenti proposte di riforma della craniologia: a proposito della misurazione della fossetta occipitale mediana, Mantegazza afferma che Lombroso cercava di “trovare in un solo teschio di delinquente una sessantina di anomalie, salvo poi scoprire che … aveva contenuto il cervello del più buon galantuomo o del più innocente minchione”. Il riferimento è a due articoli pubblicati sulla rivista della Società: l’articolo di Lombroso del 1873 (le sessanta anomalie) e l’articolo di Verga del 1876 (l’aver trovato la stessa fossetta di Villella in un galantuomo di Bologna). Il più innocente minchione è, ovviamente, Villella che era stato strumentalizzato da Lombroso con argomenti scientifici subito dimostrati errati in modo definitivo e indiscutibile.

Dopo la fondazione della propria rivista che, come L’Uomo delinquente del 1876, ottiene un grande successo di pubblico, Lombroso toglie il bergamasco Vincenzo Verzeni dalla categoria dei criminali atavici (lo era nella prima edizione de L’Uomo delinquente) e lo passa nella categoria dei criminali d’occasione (lo è nella terza edizione de L’Uomo delinquente). Lo fa perché le sue teorie razziste (i Meridionali atavici in quanto appartenenti alla razza africana e i Settentrionali non atavici in quanto appartenenti alla razza ariana) sarebbero meno credibili se un Settentrionale fosse considerato atavico. Lo fa pur ritenendo, come rivelerà la figlia Gina Lombroso dopo la morte del padre, malgrado sia sempre stato convinto che, in Verzeni, egli avesse trovato la prova più diretta possibile dell’atavismo. Anche questa sua disonestà intellettuale era nota ai colleghi antropologi e si univa a quella, simmetrica, di considerare Villella un atavico, pur essendo stata pubblicata la prova inoppugnabile secondo cui non lo fosse (la fossetta occipitale che Verga ha dimostrato essere presente anche in un galantuomo).

Sul tema del cannibalismo sociale, Lombroso ricorre spesso a falsi storici o a suoi propri falsi: per esempio, quando parla delle donne che, nel 1866, a Palermo, vendevano carne di carabinieri uccisi (cosa cui non si è parlato nei processi ai rivoltosi di Palermo); oppure, quando nello stesso passo, introduce un riferimento al Maresciallo d’Ancre suggerendo che fosse stato mangiato dai briganti meridionali, mentre si trattava di un Maresciallo di Francia ucciso a Parigi nel 1617.

Sul brigante Salvatore Misdea fa pubblicare un falso ritratto a matita (falso perché contrasta con il ritratto a matita pubblicato dal quotidiano Roma nel corso del processo e con le descrizioni dei quotidiani che seguono il processo) che presenta tutti i tratti del criminale atavico secondo la sua teoria.
Questi cinque episodi si possono anche definire esclusioni di dati contrari alla tesi di Lombroso. Vi sono, però, due problemi: è riduttivo chiamare esclusioni di dati sfavorevoli il caso delle donne di Palermo, del Maresciallo d’Ancre, di Salvatore Misdea e della prova portata da Verga e rimproveratagli da Mantegazza (una fossetta occipitale grande quanto quella di Villella era stata trovata in un galantuomo) perché si tratta di mistificazioni e manipolazioni; queste manipolazioni di dati sono riscontrabili solo quando Lombroso tratta il tema dell’atavismo fondamento essenziale della sua teoria delle due razze.

Non esistono manipolazioni di questa portata nel trattare il tema della pellagra o il tema dello spiritismo o quello del rapporto tra genio e delitto, tra genio e follia. Su questi temi, come si ascolta più volte, negli audiovisivi e nei riquadri illustrativi del Museo, Lombroso fa errori senza imbrogliare.
In questo senso è vero che, come si legge nella sala 4, “La scienza procede anche per errore” … Questo è il titolo di un pannello espositore. Nel testo del pannello, questo principio viene ribadito nell’ultima frase. Inoltre, a metà del testo, si legge: “Ma siamo di fronte a un errore scientifico”. Nella sala 8, nel pannello espositore con titolo “Il bilancio di una vita scientifica”, con un dialogo del tutto inventato, si dà la parola a Lombroso il quale insiste sul tema dell’errore: “Ho commesso errori, certo, e chi non ne commette? … Errori? L’anomalia nel crani di Villella e l’idea dell’atavismo, per esempio. Fu un errore, tanto più grave per me, un ebreo, stabilire una gerarchia tra le razze umane, mentre non ha fondamento scientifico il concetto stesso di razza … Fu un errore trattare il genere femminile quasi come una razza a sé stante, biologicamente inferiore. … volevo estirpare la piaga del cretinismo e della pellagra … Altri errori, si dirà. Facile dirlo ora che si è scoperta la vitamina PP. … Devo dire, però, che dagli errori si impara. Se c’è una lezione che ho appreso, è questa: la scienza è sempre provvisoria. Non c’è verità definitiva, ma solo lo sforzo costante per avvicinarla”.

Nel lavoro di Lombroso, come si è già visto, non ci sono solo errori, ma anche manipolazione e malafede. E queste manipolazioni sono presenti ogni volta che c’è di mezzo qualcosa che riguarda i Meridionali. Lo dimostro con alcune osservazioni derivanti dalla lettura di quasi tutto quello che Lombroso ha scritto.
Nel trattare il tema della pellagra, Lombroso fa solo errori. Non ho trovato un solo esempio di manipolazioni. Nel trattare il tema dello spiritismo, nel sostenere che Eusapia Palladino emana una imprecisa “energia radiante” e sostanze poste nella “quarta dimensione”, egli commette un errore, ma non manipolazioni. Queste le faceva quella imbrogliona della Pelladino e Lombroso è stato solo uno dei tanti scienziati che si è fatto infinocchiare. Nel trattare il tema del rapporto tra genio e follia, tra genio e delitto, Lombroso certamente commette errori, ma non introduce manipolazioni per difendere la sua ipotesi che il genio derivi da una “nevrosi che dipende da un’imitazione della corteccia” cerebrale.

Solo che non c’è solo errore quando manipola il ritratto della faccia del calabrese Misdea per farlo aderire al suo prototipo di criminale atavico. Non c’è solo errore quando, dovendo parlare di donne delinquenti, prende la notizia falsa, inserita nella seconda relazione al Re dal generale Cadorna, secondo cui “nelle botteghe di macelleria di Monreale si vendeva la vendita della carne dei cadaveri dei carabinieri”, e, avendo bisogno di dimostrare l’efferatezza criminale femminile, la trasforma nella notizia che le donne di Misilmeri andavano in giro a vendere carne umana. Nel 1884, la manipolazione viene realizzata accennando al Maresciallo d’Ancre, senza dire chi fosse, e proseguendo così: “Nell’Italia meridionale, quando infieriva il brigantaggio, si narrarono scene veramente cannibalesche: i cadaveri dei carabinieri squartati, la loro carne venduta e divorata”. La rapida successione delle due frasi serve per far pensare che D’Ancre sia un Maresciallo dei carabinieri. Ed, infatti, al mio ufficio all’Università di Padova, spesso venivano a trovarmi studiosi che sostenevano che i Meridionali si erano mangiati il Maresciallo d’Ancre. Se ne andavano con la coda tra le gambe quando spiegavo loro che il Maresciallo d’Ancre era stato sepolto e disseppellito per essere mangiato, nel 1617, a Parigi (era, infatti, un Maresciallo di Francia). Nell’equivoco cade anche il professore Damiano Palano quando pubblica il saggio “Viaggio nell’abisso. Figure del Meridione nell’Archivio di Cesare Lombroso (1880-1900)”.

Il Museo, come si è detto, in più punti sostiene che la scienza va avanti per prova ed errori. Ma la scienza non è solo questo. Se questa definizione della scienza cogliesse, anche solo lontanamente, l’essenza del metodo scientifico, sarebbe uno scienziato anche quello sperimentatore agricolo, di cui si narra ne Il Gattopardo, il quale sbagliava ripetutamente e si correggeva, ripetendo con piccole modifiche l’assurdità di piantare gli alberi interrando le chiome ed esponendo al sole le radici per ottenere prodotti migliori.

Il Museo Lombroso veicola un messaggio parziale (e perciò riduttivo e sbagliato) su cosa sia scienza. Il metodo scientifico non consiste nello sbagliare e correggersi, ma nello sbagliare e correggersi pur avendo applicato i canoni della logica sperimentale, dal meno comprovante (il canone della concordanza usato con malizia da Lombroso che toglieva i casi che non si accordavano con le sue tesi) ai più comprovanti (il canone della differenza magistralmente usato da Charles Darwin e Max Weber o quello delle variazioni concomitanti usato da Emile Durkheim).

Chiariti questi punti, passo a elencare gli errori che ho riscontrato nella presentazione dell’opera di Lombroso nelle sale del Museo:
Sala 3, pannello espositore con titolo “Lombroso e la medicina sociale”. Così si legge nel testo accreditato dal Museo: “Nel 1870 Lombroso riceve un premio per le sue ricerche sulla pellagra”. Non è vero! Nel 1870, Lombroso presenta un poderoso studio sperimentale sugli effetti del mais guasto, finanziato dalla Carlo Erba, al prestigioso concorso Cagnola e siccome è accompagnato da una casistica di gran lunga superiore a quella degli altri concorrenti, tutti si aspettano che egli vinca il premio di 20.000 lire. Invece, il presidente della commissione aggiudicatrice, Ercole Ferraris, pur facendo sperticati elogi alla ricerca, comunica che questa non raggiunge l’assoluta dimostrazione e non può essere premiata.

Sala 4, pannello espositore con titolo 1870: la “rivelazione”. Così si legge nel testo accreditato dal Museo: “L’autopsia di Giuseppe Villella fu eseguita a Pavia nell’agosto 1864 … Al momento dell’autopsia Lombroso non aggiunse altre osservazioni su questo caso”. Non è vero! Lombroso non era presente al momento dell’autopsia di Villella. Nel corso della polemica con Verga, questi gli chiede, nell’articolo sulla rivista Archivio di Antropologia ed Etnografia del 1872, se era presente al momento dell’autopsia (Verga sapeva che non c’era) e nell’articolo di risposta del 1873, per due volte nello stesso articolo, Lombroso riconosce di non essere stato presente all’autopsia. Poi, morto Verga, nel 1906, nella Illustrazione Italiana, Lombroso cambia versione e scrive: “Nel dicembre del 1870, facendo l’autopsia di un brigante calabrese nelle carceri di Pavia …”. Solo che Villella è morto nel 1864, nell’ospedale di Pavia e non nelle carceri.

Sala 9, cartello espositore con titolo “La razza”. Così si legge nel testo accreditato dal Museo: “Lombroso stabiliva una gerarchia delle ‘razze umane’ con l’uomo bianco al vertice, ma lasciava spazio all’evoluzione biologica e culturale. Lombroso adottava una definizione di ‘razza’ più generica, che si confonde con i concetti di etnia e nazionalità”. La prima affermazione non è vera! Dopo il trionfo di Lombroso durante il primo convegno, a Roma, nel 1885, la sua teoria dell’atavismo viene attaccata nel secondo congresso, a Parigi. I critici rigettano l’idea del delinquente nato lombrosiano, sostenendo che il crimine avesse le sue radici nel milieu social, concetto in cui rientrava anche la cultura. Non è vera neanche l’affermazione successiva! Il concetto di razza di Lombroso non si è mai confuso con il concetto di nazionalità. Tanto è vero che, quando Scipio Sighele, allievo di Enrico Fermi, fa discendere dalla teoria delle due razze di Lombroso la conclusione che, essendoci nella penisola italiana e isole due razze, ci sarebbero state due nazionalità e, quindi, ci sarebbero dovuti essere due Stati. Lombroso reagisce con quattro articoli pubblicati sui quotidiani del tempo per ridefinire la propria teoria delle due razze. Non sostiene più che esiste una razza ariana al Nord e una al Sud, ma che esiste una razza ariana al Nord e due ne esistono al Sud: la classe dirigente meridionale che discende dai Greci della Magna Grecia, i quali erano ariani (e quindi, i discendenti puri sono della stessa razza dei Settentrionali), e gli altri Meridionali che discendono da razze africane (e quindi, sono di razza africana). Dove sta la funzione della cultura o la nazionalità in questa divisione in due razze della popolazione meridionale?

La conclusione che mi sono fatto, alla fine della visita, è che il Museo Lombroso è razzista, come lo era lo stesso Lombroso, perché non mette in risalto le manipolazioni operate da Lombroso sui dati antropologici relativi ai meridionali e perché tenta di nascondere in tutti i modi il razzismo di Lombroso.

*di Giuseppe Gangemi, docente universatario e scrittore