Così come sovente accade, una problematica posta all’attenzione pubblica non ha il tempo di essere presa seriamente in considerazione che si vede scalzata da un’altra questione che chiede a sua volta attenzione e che, a sua volta consumata, verrà anch’essa superata, e così via senza soluzione di continuità. Ma gli interrogativi rimangono e qualche volta vale la pena ritornare con più calma sulle questioni e provare a ragionare a bocce ferme senza l’ansia di partecipare all’arena politica, dove si è o a favore o contro, a prescindere da analisi ponderate.

È stato autorevolmente sostenuto che «il concorso esterno in associazione mafiosa è un ossimoro». Proprio in una intervista rilasciata al Corriere della Sera di qualche giorno fa, il Ministro Nordio spiegava la ragione per cui si riferiva al concorso esterno in termini di ossimoro con queste parole: «o si è esterni, e allora non si è concorrenti, o si è concorrenti, e allora non si è esterni». Ma l’essere o non essere (tertium no datur) è un dilemma, non certo un ossimoro. La spiegazione che Nordio ha dato all’impiego della formula retorica è errata, rivelando la vera intenzione del Ministro sulla disciplina del concorso esterno.

Ma procediamo con calma. In ogni casa c’è un dizionario o molto più probabilmente un dispositivo mobile per poter googlare in cerca di risposte (su quali e come queste vengano generate è un altro problema); il Ministro Nordio avrà certamente la disponibilità di più dizionari e di più dispositivi.

E allora consultiamolo, il dizionario, e leggiamo la spiegazione del lemma in questione. Data l’etimologia del termine che nasce dalla crasi di due termini, acuto e sciocco, la parola stessa è a sua volta un ossimoro. Ossimoro, infatti, è una «figura retorica che consiste nell’accostare parole di senso opposto» (Dizionario Garzanti). Ai giovani studenti si è soliti spiegare questa parola con degli esempi che li lasciano sempre sorpresi, come ghiaccio bollente, illustre sconosciuto e (il più che abusato) silenzio assordante.

Dunque, l’espressione di Nordio richiama piuttosto il più che noto dubbio shakespeariano sull’esistenza. E allora si tratta di un dilemma: mantenere l’interpretazione per cui per la giurisprudenza il concorso esterno si assume come reato ovvero escluderla con la conseguenza che alcuni comportamenti non si sussumono più in nessuna fattispecie criminosa. Non sono penalista e maneggio con dovuta cautela il codice di procedura penale, ma da giurista costituzionalista qualche riflessione sulla tutela ordinamentale posso proporla, anche se la Presidente del Consiglio ha sùbito chiarito che le esternazioni del Ministro della giustizia sono state espresse a titolo personale; come se il solo rilasciare un’intervista possa consentire di esprimersi con disinvoltura. Ma il lettore ricorderà la nostra premessa e accetterà che si prendano sul serio le parole di un ministro della Repubblica.

Disinvoltura a ben vedere è stata mostrata da chi ha fatto intendere che indubbi quanto enormi problemi possano essere risolti semplicemente eliminandoli, con la possibile conseguenza di aggravarli piuttosto, nella misura in cui dalle dichiarazioni del Ministro si fa intendere che tutti coloro che sono autori di comportamenti oggi rientranti nella fattispecie del concorso esterno sarebbero da considerarsi mafiosi.

E ritorna il file rouge che tiene insieme il modus operandi che sta caratterizzando il primo Governo della XIX Legislatura, ovverosia offrire soluzioni semplicistiche a problemi complessi. Ritenuto di aver risolto i veri problemi della sicurezza pubblica - quello dei rave party con l’introduzione (in legge) di una fattispecie di reato che comporta una pena draconiana, e quello contro gli ecoattivisti con una previsione (in ddl) di altra pena anch’essa elevatissima, per non dire nulla sul reato addirittura universale contro la maternità surrogata - si è passati a considerare al contrario che il reato pretorio dell’associazione esterna possa anche essere eliminato (attraverso una interpretazione autentica?) escludendo la possibilità sia di tipizzarlo che di chiarire se per il concorso basti che si giunga o meno al risultato atteso, ovverosia che il reato si consumi (qui la giurisprudenza di legittimità è quantomeno ondivaga). E allora, bene una legge che disciplini la materia, non per eliminarla però, ma per garantire certezza del diritto ed eguaglianza fra cittadini.


Detto ciò, il problema, che è strutturale, a noi pare essere un altro: la mancanza cronica di magistrati che esercitano la funzione giudicante, carenza quasi endemica ma resa più che evidente dinanzi a decine se non a centinaia di richieste di imputazione (e fra tali richieste vi è anche quella della valutazione del concorso esterno), alle quali è quasi impossibile dare una risposta ponderata e celere, producendo gravi conseguenze ai diritti costituzionali di difesa per chi si trova in un limbo in cui è preclusa qualsiasi attività, soprattutto imprenditoriale (questi i casi che ci consegna la cronaca giudiziaria soprattutto in Calabria).

Che il problema sia strutturale lo si può affermare anche per la previsione contenuta nel ddl Nordio a oggi in discussione in Senato (una misura, quindi, concreta e non verbale) che deve rinviare di due anni (tempo necessario per implementare gli organici in magistratura) la norma per cui  sia un giudice collegiale, e non più un organo monocratico, a decidere sull’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o di una misura di sicurezza provvisoria quando essa è detentiva.
In conclusione, l’espressione di Nordio richiamata qui nel testo si riferisce in modo erroneo alla formula retorica dell’ossimoro.
La certezza che si vuole affermare è quella per cui - nonostante le esternazioni (fra proclami e scelte normative) che si rincorrono da decenni - la giustizia continua ad avere l’urgenza di essere riformata in modo organico e con un non più procrastinabile finanziamento ingente di risorse umane e materiali. Le gambe, per usare una metafora, non possono continuare a essere d’argilla.

Delle due l’una: o si riforma o non si riforma, tertium no datur. E, lo ripetiamo, la scelta dicotomica non costituisce un ossimoro.
Ma questa questione sembra ormai lasciata alle spalle; e magari a breve la nostra attenzione sarà impegnata (solo per qualche giorno, in modo effimero, quindi) a prendere in considerazione la proposta sulla separazione delle carriere dei magistrati!