A luglio 2024 è arrivata la diagnosi di celiachia per uno dei miei figli. Mi hanno detto che l’unica terapia è la dieta senza glutine, e che lo Stato, tramite le Regioni, garantisce dei buoni spesa per aiutare i celiaci. Sembrava tutto chiaro, eppure, da madre, ho scoperto che il sistema attuale è più orientato al business che alla salute.

Il primo impatto con la celiachia: disorientamento e costi

Appena ricevuta la diagnosi, ho dovuto capire da sola come funzionano i buoni, dove spenderli e come verificarne il saldo. In Calabria, per un bambino piccolo, l’importo è di 56 euro al mese, non cumulabili. Presto ho realizzato che questa somma è insufficiente, dato il costo elevato dei prodotti senza glutine nei negozi specializzati, gli unici dove il buono è accettato.

Nei negozi accreditati, i prezzi sono sorprendenti: 6 euro per 250 grammi di pangrattato, scaffali pieni di snack e cibi ultra-processati, poche opzioni sane. Nessuno ci ha spiegato come costruire un’alimentazione bilanciata senza glutine. Ho dovuto imparare tutto da sola: testare prodotti, spiegare ai parenti cosa significa la contaminazione, evitare che mio figlio si sentisse escluso.

La dieta senza glutine: più un’industria che una terapia?

Nel registro nazionale dei prodotti senza glutine riconosciuti dal Ministero della Salute, tra merendine, snack e creme al cioccolato, si perde il concetto di dieta come terapia. Il celiaco ha bisogno di un’alimentazione equilibrata, ma il sistema incentiva l’acquisto di prodotti industriali anziché alimenti freschi. Ad esempio, il termine “cioccolato” compare 625 volte nel registro, la parola “cacao” 284 volte. Per fare un confronto con un alimento chiave, la parola “pasta” è presente 748 volte, mentre la parola “fresco” solo 14 volte, spesso riferita a prodotti confezionati.

Questa logica commerciale si scontra con l’approccio medico. Il dottor Luca Elli, del Policlinico di Milano, sottolinea che la dieta senza glutine non è solo una sostituzione di alimenti, ma una rimodulazione dello stile di vita per garantire il giusto apporto nutrizionale. Eppure, i buoni spesa non possono essere utilizzati per acquistare carne, pesce, verdure o altri alimenti naturalmente privi di glutine nei normali supermercati.

Solo pochi giorni fa è stata annunciata la creazione di un panel internazionale di esperti dedicato a migliorare l’alimentazione delle donne celiache in età fertile. L’obiettivo è ridurre i livelli di infiammazione pre-gravidanza e garantire un adeguato apporto di micro e macronutrienti. Questo sottolinea quanto sia cruciale l’equilibrio nutrizionale per la salute e come una dieta senza glutine basata su prodotti ultra-processati possa avere effetti negativi. Se la dieta del celiaco non è bilanciata correttamente, il rischio è di incorrere in carenze nutrizionali e problematiche metaboliche, aggravando la situazione invece di migliorarla.

Le criticità del sistema e le domande aperte

Perché i buoni non coprono anche alimenti freschi e di base? Perché non esistono programmi di educazione alimentare finanziati dallo Stato? Perché non si monitora il mercato per evitare speculazioni sui prezzi? La gestione attuale sembra avvantaggiare più le aziende che i pazienti.

Nel frattempo, in famiglia abbiamo adottato un approccio più naturale: privilegiamo alimenti freschi e impariamo a usare farine alternative. Ma questa scelta è possibile solo perché ho avuto tempo e risorse per informarmi. E chi non le ha?

Ma la vera domanda è: perché si continua a fare finta di nulla? È evidente che il sistema attuale alimenta un mercato più che tutelare la salute dei celiaci. Se è così chiaro che una dieta sana non può basarsi su prodotti ultra-processati, perché si incentiva ancora questa logica? Il benessere delle persone celiache deve essere al centro di ogni decisione, non i profitti delle aziende alimentari. Fino a quando si ignorerà questo problema, continueremo a finanziare una contraddizione: sovvenzioniamo una terapia che, paradossalmente, può compromettere la salute.

La mia proposta per un sistema più equo

Credo che sia necessario un cambio di paradigma. Ecco alcune idee: consentire l’uso dei buoni per alimenti freschi nei supermercati e nei mercati locali; Introdurre percorsi di formazione per le famiglie appena ricevuta la diagnosi; monitorare i prezzi dei prodotti senza glutine per evitare speculazioni.

Voglio che mio figlio cresca sapendo che la celiachia non è un limite, ma una condizione che può essere gestita con serenità, è anche un’opportunità perché ci costringe a migliorare la qualità dell’alimentazione di tutti noi familiari. Ma per farlo, serve un sistema che metta davvero al centro la salute dei pazienti, non il profitto delle aziende alimentari.