Il titolare del salumificio accusato di plagio da un ristoratore di Gioia Tauro si difende: «In questa querelle mediatica instaurata dal signor Rosace, abbiamo già attivato le giuste vie per tutelarci»
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Nei giorni scorsi Pierino Rosace, titolare di un noto ristoratore di Gioia Tauro, è interventuto per denunciare il presunto furto, da parte di un'azienda, della sua idea di produrre e commercializzare il panettone alla 'nduja. Secondo il ristoratore, infatti, il suo "Pan di Vico"sarebbe stato appunto riprodotto dall'azienda solo dopo che i titolari della stessa l'avevano assaggiato nel suo locale. Ma in questa "guerra" del panettone non si è fatta attendere la risposta del titolare del salumificio "Livasì" di Spilinga, accusati da Rosacedel furto d'idea.
«Interveniamo per fare chiarezza - il titolare del salumificio - e ristabilire la verità su una storia che si sta utilizzando solo per fare becera polemica e pubblicità gratuita. Sono Giuseppe Porcelli titolare del Salumificio Livasì Azienda agricola di Spilinga (VV) e vincitore regionale nella categoria Campagna Amica del premio Oscar Green, premio che Coldiretti Giovani Impresa riserva alle giovani aziende agricole che si distinguono in determinate categorie. In questo caso sono stato premiato per il panettone alla ‘Nduja di Spilinga e cioccolato fondente “Pandujotto Dark”».
Il concorso
«Si premiano le aziende agricole e non altre realtà - continua Porcelli -, quindi mai nessuno avrebbe potuto vincere se non una realtà appartenente a questo settore. Proprio per questo, di conseguenza, la Coldiretti nazionale ha portato il nostro Pandujotto nel contesto del Tutto Food di Milano, che per quest’anno ha dedicato attenzione ai giovani imprenditori che si sono distinti nel periodo del Covid inventandosi delle strategie per diversificare la propria attività con innovazione e spirito di sacrificio».
«Potremmo dilungarci su tutte le fandonie che sono state dette da questo sedicente inventore del nulla, ma ci soffermiamo su alcuni punti per chiudere la polemica giornalistica/pubblicitaria e tornare alle cose serie del nostro lavoro, che con molti sacrifici svolgiamo tutti i giorni, cioè allevare i nostri suini Nero di Calabria, coltivare il nostro peperoncino e produrre i nostri salumi».
La storia del Pandujoto
«Ritornando al Pandujotto Dark - scrive ancora l'imprenditore -, sono tre anni che insieme alla pasticceria che collabora in questo progetto lavoriamo per la riuscita di un connubio particolare tra ‘Nduja di Spilinga e il panettone. Lo abbiamo raggiunto l’anno scorso, quando, dopo tanto, nel mese di novembre abbiamo prodotto i primi panettoni che abbiamo sin da subito commercializzato con il nome “Pandujotto Dark”, nome ideato dalla nostra pasticciera già da tre anni. Quindi è falso il fatto che sia stato copiato il nome».
Accuse respinte al mittente
«Ma andiamo avanti e smentiamo l’ulteriore bugia di questo noto chef in cerca di gloria. Appare chiaro, come ha affermato sui social e non solo, che il suo panettone lo ha inventato nell’autunno del 2020. Noi, mi dispiace per lui, oltre come già detto ad averlo realizzato prima, non potevamo averlo mai assaggiato visto e considerato che la sua attività ristorativa era chiusa, come tutte le attività ristorative d’Italia, a causa delle restrizioni Covid», continua nella nota il titolare del salumificio.
«Detto questo, noi siamo abituati a confrontarci con tutti, sempre, ma ad oggi non abbiamo ricevuto nessuna chiamata da alcuno per spiegarci le ragioni di tutto questo astio per il nostro prodotto. Non abituati a screditare nessuno, chiediamo a chi si sente offeso dalla riuscita della nostra ricetta di avviare le opportune vie per meglio tutelarsi. Oltre che a farsi pubblicità attraverso il racconto della sua storia personale, visto che è un grande chef, e del suo locale e non tentando la vanagloria attaccando gli altri».
«Noi, infatti, sappiamo farci pubblicità con il lavoro e con le belle cose, perché siamo giovani che hanno creato la loro attività a fatica, onestamente e soprattutto fornendo la qualità e l’innovazione, pubblicizzando al meglio delle nostre possibilità, i nostri prodotti e la nostra bella terra. Perché sì, siamo calabresi e crediamo nella nostra terra. Lavoriamo qui e pensiamo pure che sia il posto più bello dove poterlo fare senza, come si fa spesso, piangersi a dosso». E in conclusione: «Nel contempo noi, unica parte lesa in questa querelle mediatica instaurata dal signor Rosace, abbiamo già attivato le giuste vie per tutelarci».