La riflessione di Giovanni Puccio, coordinatore del Partito democratico dell'area metropolitana di Reggio
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Del forte radicamento democratico l’Italia e la Calabria, ne dà testimonianza ogni giorno. E tuttavia non bisogna abusare della celebrazione di questa risorsa poiché il mondo è in profonda e radicale trasformazione e al processo di globalizzazione, corrisponde come reazione, una potente spinta oppositiva dovuta alla paura e all’estendersi di un sentimento di insicurezza e di vulnerabilità globale e personale. Lo scarto tra aspettative e realtà semina rancore e risentimento, buon carburante per alimentare nuove e vecchie spinte antidemocratiche e reazionarie. Questo processo che si collega ad una realtà come quella calabrese e meridionale segnato da una disoccupazione giovanile che oscilla tra il 50 e il 60% viene cavalcato dalla nuova destra populista. Sulle vele della paura essa raccoglie consenso smantellando un sistema di protezione sociale costruito negli ultimi 50 anni per sostituirlo con nuove subalternità e nuovi conflitti e tornare alle vecchie patrie che si fanno la guerra demolendo la grande operazione dell’Unità Europea e la sua coerente riforma. Si arriva così al punto di rovesciare la realtà cercando di far credere che oggi lo scontro sarebbe tra una sinistra di benestanti legati al potere nazionale (ad un Europa matrigna) e una destra di nullatenenti che esprime la sofferenza del tempo e nostalgia per una Patria sofferente.
Siamo arrivati al paradosso che una forza politica che predicava la “devoluscion” dal mezzogiorno, (oggi “regionalismo differenziato”) si estenda nei territori fino a ieri “nemici” trasformando il principio di appartenenza in un modello leninista di controllo sociale. La falsificazione impera, ma quel che è emerso dalle competizioni elettorali stimola i nuovi e vecchi sovranisti. Se questo è accaduto, lo si deve alla sola abilità altrui o anche alla leggerezza della stessa sinistra democratica? E’ proprio qui che la riflessione si fa complicata poiché si può dare l’impressione che ciascuno voglia scaricarsi delle proprie responsabilità per caricarle sulle spalle altrui.
La sinistra da questo punto di vista ha un retaggio storico che rischia ogni volta di diventare devastante, e tanto più lo diventa in quanto si consuma dentro le logiche correntizie e o di potere senza un virtuoso coinvolgimento sociale e di competenza politica. La grande manifestazione di Roma incitava all’UNITA! Ma lo strumento congressuale non sta dando le risposte che sarebbero necessarie e auspicabili, declinandosi sempre di più nei meccanismi competitivi interni che oscillano tra difesa e critica con scorribande divisive, a scapito della capacità di comprensione e di cambiamento. Se si preferisce la ricerca delle colpe in un teatrino nel quale di volta in volta l’imputato diventa accusatore e viceversa non si andrà lontano. Si potrà dire che complice è anche il sistema di selezione del Segretario.
Il metodo leaderistico, in un sistema politico imperniato sul principio proporzionale e collegiale complica esaspera le differenze e l’unità è a rischio. Ma non ne emerge ancora la consapevolezza poiché spesso si scambia l’effetto dialettico come la causa dei nostri limiti mentre è vero il contrario. Si oscilla tra appartenenza e nomadismo. E spesso si parla in modo improprio della forma Partito: quella di cui parla la Costituzione. E spesso il ricordo viene mitizzato e il “nuovo” si riduce a tentazioni personali o a surrogati di comunicazione politica come i social in cui manca la condivisione umana e il principio del “che fare”. Anche a sinistra alberga la suggestione dell’Agorà che è spesso la predicazione di buoni propositi e nel contempo la negazione del principio regolatore delle democrazie moderne fondate sulla rappresentanza. Così al posto del confronto sociale, territoriale che partiti degni di questo nome devono alimentare anche con lo stimolo dei corpi intermedi organizzati, si preferisce il rapporto del “Capo” col suo popolo che spesso sconfina nella descrizione di una realtà virtuale. Un partito popolare, di massa non è un retaggio del passato ma una soggettività collettiva che bisogna far vivere non solo nelle primarie con milioni di elettori (e il 3 Marzo è una prova decisiva), ma anche con consultazioni sistematiche. Le sedi si sono drasticamente ridotte lasciando un deserto partecipativo, ma i canali di conoscenza e di condivisione potenzialmente disponibili sono geometricamente cresciuti, ma negletti. Purtroppo e paradossalmente l’adeguamento dei partiti alle domande popolari si è consumato spesso dentro canali autoreferenziali immedesimati col potere e prosciugati da quel fluido partecipativo che costituiva la “comunità politica”. Per questo l’opposizione al governo giallo-verde è un’opportunità che occorre far vivere.
La classe dirigente riformista nasce in un “laboratorio” particolare, che non è dato dalla sola tecnica, dalla competenza, dall’esercizio del governo e del potere ma da una proposta politico programmatica all’altezza dei tempi, e nel saper far diventare il “laboratorio politico” la condivisione popolare. Per questo occorre saper adeguare la propria proposta alla realtà. Come l’alga lacustre sa trarre dal lago l’alimento che gli dà la vita, il partito deve ricavare alimento dal “lago sociale”. Così come ci indica la Costituzione: offrire a ciascuno le pari opportunità per costruire il proprio destino.
Giovanni Puccio