L’analisi sulla politica nazionale a firma dei costituzionalisti Unical, Ugo Adamo e Silvio Gambino: «Il nuovo presidente del Consiglio rimane un primo fra pari»
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Riportiamo l’analisi sulla politica nazionale a firma dei costituzionalisti Unical, Ugo Adamo e Silvio Gambino.
«Salvo imprevisti, nella giornata di oggi e in quella di domani, il Governo Draghi (30o Governo repubblicano) otterrà la fiducia prima del Senato della Repubblica e poi della Camera dei deputati. Dopo tali passaggi politico-costituzionali, si capirà se avranno risposta o meno le aspettative di chi, all’indomani della formazione del Governo, si era chiesto se il prolungato silenzio (durante e dopo le consultazioni) sarebbe stato ‘ripagato’ da novità significative; se avrà ragione o meno chi – dopo un’attesa a dire il vero breve (ma accentuata dal modo di procedere finalmente ‘non social’ del Presidente a suo tempo incaricato) – riconoscerà con un voto parlamentare palese la fiducia al Governo Draghi.
A noi non spetta soffermarci su tali questioni politiche, ma possiamo comprendere il motivo che ha spinto il Presidente incaricato Draghi alla costituzione di un governo tecnico-politico, in una fase della storia costituzionale del Paese segnata da una crisi dei partiti politici particolarmente grave ma anche da una prospettiva non già di austerity bensì di ‘espansione’ economica (a differenza di quanto era avvenuto, ad esempio, con il Governo Monti) che li ha incoraggiati tutti a identificarsi come ‘costruttori responsabili’.
La forma di governo del Paese è parlamentare (art. 94, c. 1, Cost.); il Governo è un organo complesso (art. 92, c. 1, Cost.); il Presidente del Consiglio dei ministri ne «dirige» la politica generale e ne è «responsabile», «mantiene» l’unità di indirizzo politico ed amministrativo e lo fa «promuovendo» e «coordinando» l’attività dei ministri (art. 95, c. 1, Cost.). Queste le disposizioni costituzionali che devono essere richiamate per comprendere l’esistente nonché il futuro prossimo e remoto.
Secondo il chiaro dettato costituzionale, il Governo è sempre, e per definizione, politico (in quanto abbisogna della fiducia della maggioranza dei voti parlamentari), e al vertice del Governo non vi è un ‘Premier’ (‘primus super pares’) bensì un Presidente (‘primus inter pares’). Ciò significa, in primo luogo, che il nuovo Governo Draghi non può consegnare il potere decisionale nelle mani del solo suo Presidente, il quale è chiamato a definire l’indirizzo politico unitamente al Governo e al Parlamento; in secondo luogo, che il ruolo dei partiti (e pertanto dei gruppi parlamentari) non potrà essere limitato, in quanto le forze politiche dovranno esprimere quell’unità di indirizzo politico di maggioranza che sono in procinto di votare con la mozione di fiducia, che dovrà mantenersi fino al termine della Legislatura. In effetti, il Governo è un organo ‘non a tempo’, in quanto lo stesso vive per volontà del Parlamento, organo – questo – che, al contrario, se non sciolto anticipatamente, ‘ha un tempo’ fissato, che è di cinque anni.
Se queste coordinate sono chiare, a fronte del venir meno a suo tempo di una maggioranza parlamentare a sostegno del Governo Conte, si può comprende la scelta di formare un Governo composto sia da tecnici che da politici. Si può parimenti comprendere come il Governo Draghi abbia dovuto procedere alla integrazione della componente politica con una di tipo tecnico al fine di assicurare quanto la politica non era riuscita fino a quel momento ad assicurare. Che il Governo Draghi, poi, sia comunque dovuto ricorrere al ‘manuale Cencelli’ per coprire le diverse aree ministeriali attingendo alle forze parlamentari che avevano dichiarato l’appoggio al poi nominato Governo lo si comprende avendo a mente appunto la ratio fiduciaria dei governi parlamentari.
Quanto alla valutazione politica, questa spetterà al Parlamento, prima, e all’elettore, in seguito, che saranno chiamati, nei tempi e nelle forme costituzionalmente previste, a giudicare se i tecnici saranno stati ‘i migliori’ e se, a loro volta, i politici saranno stati all’‘altezza’ dell’incarico di governo. Ai commentatori politici – che in queste ore avanzano parallelismi forse troppo generosi con il primo Governo formato sia da tecnici che da politici, quello di Ciampi (già Governatore della Banca d’Italia e primo non parlamentare Presidente del Consiglio) – si può ricordare che fra i politici di ‘quel’ Governo facevano parte personalità come Nino Andreatta, Leopoldo Elia e Gino Giugni a cui poteva essere attribuito sì un riferimento politico ma anche e soprattutto una sicura capacità in termini di competenza e di esperienza, valutata all’unisono come ‘fuori dal comune’.
Se sulle personalità tecniche non disponiamo ancora di termini di valutazione, su quelle politiche si può registrare la difficoltà – a differenza di quanto avvenuto agli inizi degli anni ’90 – in cui versa lo stato dei partiti che non riesce né ad esprimere proprie personalità che siano unanimemente considerate ‘migliori’, né personalità ‘d’area’ che riescano ad essere espressione di un preciso progetto di politica del Paese.
Descrittivamente si nota che il Governo è composto da 23 ministri (con decreto legge si devono costituire i neo ministeri), da un sottosegretario di Stato ‘di peso’, ma, ancora una volta, da donne in una rappresentanza minoritaria (solo 8) che occupano posizioni non di primo piano, tranne che per la più che autorevole Marta Cartabia (Giustizia), la riconfermata Luciana Lamorgese (Interni), la competente Cristina Messa (Università) e l’ancora non valutabile – perché priva di esperienza istituzionale per il Ministero accordatole, e questo rileva a proposito di mancata ‘connessione’ tra politica e accertata competenza – Mariastella Gelmini (Affari regionali). La mancanza di donne nominate – se si ha a mente che il Next generation EU ha anche il fine della promozione della parità di genere – non è certo una delle notizie di marcata discontinuità che si attendevano nei giorni del ‘gran silenzio’. E ciò vale a prescindere dalle ‘promesse’ sulle nomine di sottosegretarie o vice ministri, dal momento che queste non entrano a far parte del Consiglio dei ministri o laddove lo siano, nel caso dei vice ministri, non hanno diritto di voto.
Il nuovo Governo avrà delle sfide enormi da affrontare, dalla crisi sanitaria a quella finanziaria, da quella ambientale a quella sociale, ma va detto che il superamento di queste crisi non spetta al solo Governo ma anche e, diremmo soprattutto, al Parlamento, alle forze di maggioranza e a quella di minoranza (nel momento in cui si scrive si sa che sarà una sola); a quest’ultima spetterà la presidenza delle Commissioni di garanzia, su tutte la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, ma anche il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
Sarebbe errato e forse anche pericoloso guardare al Governo neo nato come il solo a cui affidarsi in quanto l’unico capace di ‘salvare la Patria’, anche se si è consci che il Prof. Draghi rappresenti la principale riserva della Repubblica, e che alcuni ministri (il riferimento va alla quota tecnici) possano rientrare fra i ‘migliori’ di cui l’Italia di oggi dispone. Sarebbe sbagliato perché si incorrerebbe nel rischio di sposare un atteggiamento, un’analisi che avrebbe come conseguenza quella del pre-giudizio (costituzionalmente) inaccettabile. In primo luogo, infatti, significherebbe mettere da parte i ‘pesi e i contrappesi’, che, invece, valgono sempre e a prescindere; ad esempio, varrà anche per il Governo Draghi non guardare alla decretazione di urgenza come ad una ‘procedura’ da impiegare al solo fine di velocizzare l’iter della decisione parlamentare svilendone il dibattito: questa ‘prassi’ continuerà a essere valutata e denunciata come inaccettabile. In secondo luogo, ‘abbassare la guardia’ significherebbe approntare le riforme senza la prospettiva del lungo periodo; esse, al contrario, dovranno essere scritte con la piena consapevolezza che dovranno valere non solo quando al Governo siedono ‘i migliori’ ma anche quando dovessero sedervisi ‘i peggiori’.
Con la precisazione che le categorie dei ‘migliori’ e dei ‘peggiori’ sono tanto poco affidabili quanto potenzialmente impiegate in modo interscambiabile per sé stessi o per gli altri, il ‘Governo dei migliori’ seppure rimanga auspicabile per l’immediato futuro è una formula (descrittiva) che deve evidentemente rientrare nelle forme della democrazia costituzionale: alle crisi prima solo accennate bisognerà dare risposta adeguata ‘con’ e ‘nelle’ regole costituzionali e non già al di fuori di esse.
La nostra forma di governo è e rimane parlamentare e Mario Draghi è e sarà (solo) un ‘primo fra pari’, e questo la politica lo sa bene.
Per concludere, si sottolinea che la fiducia così come si concede così si ritrae, anche se non sempre alla luce del sole (Salvini e Renzi docent), ma anche che questo è ora il tempo nel quale i partiti politici sono chiamati alla loro rigenerazione, non potendo ipotizzarsi il ritorno ciclico a ‘salvatori tecnici’».