La mafia silenziosa delle intimidazioni ai giornalisti calabresi

I cronisti locali sanno bene che tenere la schiena dritta è il peggior affronto per gli avanzi di galera e l'ultima speranza alla quale rimanere aggrappati per poter credere che un giorno le cose potranno cambiare

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di Francesca  Lagatta
12 marzo 2019
16:05

Ennesimo triste risveglio per il Tirreno cosentino questa mattina: nella notte è stata incendiata l'auto al giornalista Guido Scarpino, 44enne di Paola, penna spietata della cronaca nera e giudiziaria per il Quotidiano del Sud. Gli inquirenti hanno pochi dubbi, il gesto vigliacco sarebbe una intimidazione in piena regola. Non è neppure la prima volta che accade, anche nel 2014 il cronista trovò la sua auto semi distrutta dalle fiamme nei pressi di casa sua.

Ma l'episodio di oggi è l'ultimo, in ordine cronologico, di una lunga lista di atti intimidatori ai danni dei giornalisti calabresi, una lunga scia di odio e violenza che quasi mai ottiene giustizia e meno ancora solidarietà, se non quella di facciata. In una terra dove il confine tra mafia, politica e istituzioni è quanto mai impercettibile, il giornalista è considerato semplicemente uno che "non si fa i fatti suoi" e quando viene colpito accade sostanzialmente che tutti, sotto sotto, pensano che po' se la sia cercata.


Il dovere di informare

Il mestiere di giornalista è molto più complicato di quanto si possa pensare e necessita di lucidità mentale, obiettività, costanza, propensione al sacrificio, conoscenza del territorio, una rubrica telefonica colma di nomi e un numero di fonti, possibilmente attendibili, tale da coprire qualsiasi angolo del proprio ambito di competenza. Per diventare un buon giornalista occorrono anni e tanto sudore dalla fronte, e Guido Scarpino lo è. Negli anni ha raccontato ogni singola condanna o assoluzione pronunciata dai giudici del tribunale di Paola, ha parlato di 'ndrangheta e di morti, ha ricostruito vicissitudini giudiziarie, pubblicato scoop e sbattuto in prima pagina nomi e cognomi di criminali e lestofanti. Senza il suo contributo il giornalismo della costa tirrenica cosentina sarebbe stato certamente più povero, così come i suoi lettori. Informare e raccontare i fatti, anche scomodi, non è solo un diritto sancito dalla Costituzione italiana, è anche il primo dovere di un giornalista, che attraverso la sua penna infonde conoscenza, la quale, a sua volta, rappresenta l'unica via per la verità e per la libertà. Forse è proprio per questo che i giornalisti calabresi detengono il record di minacce e vessazioni, perché il coraggio fa a pugni con la vigliaccheria di chi ha sempre qualcosa da nascondere o insabbiare.

Intimidazione di ogni genere

Scarpino non è il solo a vivere quotidianamente questo dramma. Nessun giornalista che abbia in qualche modo toccato un nervo scoperto è rimasto immune da insulti, ingiurie, offese, minacce, atti vandalici o qualunque altro tipo di vessazioni. Nonostante, i numerosi episodi di espliciti avvertimenti, l'intimidazione più frequente perpetrata ai danni dei giornalisti rimane la querela per diffamazione, di cui quasi tutti prima o poi rimangono vittime. Il reato di diffamazione punisce una condotta mirante ad offendere o screditare la reputazione di una persona, ma si tratta di una legge piuttosto ambigua che molto spesso diviene oggetto di interpretazione. A seguito di una querela, il giornalista viene trascinato in tribunale con il timore di dover risarcire grosse cifre in denaro al querelante, che magari può permettersi un avvocato d'alto rango, o addirittura viene trattato alla stregua di un malvivente, indagato e processato penalmente, non raramente condannato, magari per una parola di troppo, una frase imprecisa, un errore dovuto a una svista, alla stanchezza, alla fretta. Il disegno di legge che vietava il carcere per i giornalisti condannati per diffamazione, approvato in via definitiva alla Camera nel 2015, è tornato al Senato dove oggi risulta fermo al palo, disperso nei meandri della burocrazia e dell'inettitudine della politica. Quattro anni di chiacchiere e mancate promesse, che ogni tanto si prova a sotterrare a suon di indignazione a ore e pietismo.

Il coraggio di un'intera categoria

Nonostante ciò, il piccolo esercito di giornalisti calabresi continua a scrivere fiumi di inchiostro contro il malaffare, perché i cronisti sanno bene che tenere la schiena dritta in una terra marcia è il peggior affronto per gli avanzi di galera ed è l'ultima speranza alla quale rimanere aggrappati per poter credere che un giorno qui, terra di segreti inconfessabili, fatti indicibili e uno Stato per lo più assente o deviato, le cose cambieranno.

Sappiano i vigliacchi che chi ne tocca uno, ha toccato tutti. Solidarietà incondizionata al collega Guido Scarpino.

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