Dallo scioglimento dei ghiacci una “bomba” di carbonio e virus letali

Seconda una ricerca americana il disgelo causato dall'aumento delle temperature rilascia sostanze altamente tossiche e inquinanti contenute nei fossili risalenti all’era del Pleistocene

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21 giugno 2019
15:42

Secondo una recente ricerca americana di Sue Natali, membro del ‘Woods Hole Research Center’ del Massachusetts, che studia gli effetti dello scongelamento del permafrost, il terreno tipico delle regioni dell'estremo Nord Europa, della Siberia e dell'America settentrionale, i suoli perennemente ghiacciati dell’Artico si stanno scongelando e rilasciano sostanze altamente tossiche e inquinanti, contenute nei fossili risalenti all’era del Pleistocene.
Come riportato da Agi.it, sotto lo strato di ghiaccio che si sta scongelando affiora una quantità stimata di 15 milioni di tonnellate di carbonio, due volte di più rispetto a quello contenuto nell’atmosfera e tre volte rispetto a quello stoccato nelle foreste mondiali. A questa si aggiungono ingenti quantità di metano, antrace, mercurio tossico, scorie nucleari e altri antichi veleni.

Un “ordigno di carbonio” in circolo

A preoccupare maggiormente Sue Natali è proprio questo “ordigno di carbonio” contenuto nei terreni dell’Artico in corso di scongelamento: un 10% della quantità in essi contenuti rappresentano tra 130 e 150 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2, pari a quelle che emetteranno gli Stati Uniti da qui al 2100.


Per la ricercatrice il tempo a disposizione è poco ormai: i suoli ghiacciati del’Artico potrebbero sciogliersi dal 30 al 70% già prima del 2100. «Se continuiamo a bruciare combustibili fossili al ritmo attuale il 70% sarà la norma mentre se riduciamo le nostre emissioni si può puntare al 30%. Ad ogni modo nel quantitativo di suolo scongelato il carbonio rinchiuso nella materia organica comincerà ad essere rotto dai microbi che rilasceranno emissioni di CO2 o metano», avverte la ricercatrice.
Al di là delle emissioni inquinanti, le ricerche evidenziano anche che l’aumento delle temperature nel circolo Artico riporterà a galla anche ingenti quantità di microplastiche e oltre a 1,6 milioni di tonnellate di mercurio che entreranno nuovamente nella catena alimentare.
Come conseguenza di temperature più miti sta anche aumentando la prevalenza di virus e patologie, che già colpiscono alcune specie animali, tra cui la renna che si ammala con maggiore frequenza rispetto al passato.

Il precedente che avvalora la ricerca

Lo stesso vale per malattie letali per l’uomo. Ad accreditare queste tesi nel 2016 quanto successe ad alcuni pastori nomadi di renne che si ammalarono misteriosamente, facendo temere il ritorno della “peste siberiana”, scomparsa dal 1941.
La causa venne identificata nell’antrace, come conseguenza dello scongelamento di una carcassa di renna rimasta vittima della malattia 75 anni prima. Altri virus imprigionati nel ghiaccio per decenni e secoli potrebbero quindi tornare a manifestarsi: peste, influenza spagnola e vaiolo sono già stati identificati da varie ricerche.

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