Condannato a 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco, potrà uscire dal carcere di giorno per lavorare e reintegrarsi. La sera dovrà rientrare a Bollate. Nessuna violazione nell’intervista a Le Iene
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Alberto Stasi
Alberto Stasi, condannato per l’omicidio di Chiara Poggi, potrà uscire dal carcere. I giudici del Tribunale di Sorveglianza di Milano gli hanno concesso la semilibertà, una misura che gli permetterà di trascorrere parte della giornata fuori dall’istituto penitenziario, non solo per motivi di lavoro, ma anche per attività finalizzate al reinserimento sociale. Dovrà rientrare ogni sera nel carcere di Bollate, dove sta scontando una pena a 16 anni di reclusione, divenuta definitiva nel 2015. La decisione è stata presa dal collegio presieduto dalle giudici Federica Gentile e Maria Paola Caffarena, affiancate da due esperti. La richiesta era stata formalmente depositata dalla difesa il 12 dicembre scorso e, nonostante il parere contrario della Procura generale, ha ricevuto l’approvazione del Tribunale, che ha ritenuto coerente e adeguato il percorso rieducativo fin qui intrapreso dall’uomo, oggi 41enne.
Nel dispositivo, si legge che Stasi proseguirà «l’attività lavorativa già in corso» e usufruirà di «appoggio abitativo presso lo zio». Il riferimento è al contratto a tempo indeterminato come contabile amministrativo, un impiego che Stasi ha svolto con regolarità e profitto negli ultimi anni, e che continuerà anche in regime di semilibertà. La Procura generale di Milano si era opposta alla concessione, chiedendo in subordine un rinvio per poter approfondire un passaggio specifico: l’intervista rilasciata da Stasi alla trasmissione Le Iene, che secondo l’accusa non sarebbe stata autorizzata. Tuttavia, il Tribunale ha rigettato i rilievi della Procura, accogliendo la versione della difesa, secondo cui l’intervista era avvenuta durante un permesso premio regolarmente concesso. In più, osservano i giudici, «non risulta esserci stata nessuna violazione delle prescrizioni». Nel motivare la propria decisione, il collegio sottolinea che «considerato il tenore pacato dell’intervista», e alla luce di un comportamento sempre «connotato dal rigoroso e costante rispetto delle regole, anche nel corso dei benefici penitenziari già concessi», la partecipazione alla trasmissione non è da ritenersi tale da «inficiare gli esiti della relazione di osservazione».
Il profilo di Stasi, così come tracciato dalle relazioni interne del carcere di Bollate, viene descritto come coerente, corretto, responsabile. Nelle motivazioni, si parla esplicitamente di un «costante senso di responsabilità e correttezza personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle attività lavorative o culturali», con valutazioni positive da parte del personale educativo. Stasi era stato condannato in via definitiva dalla Cassazione nel dicembre del 2015, otto anni dopo il delitto della fidanzata, Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 nella villetta di famiglia a Garlasco, in provincia di Pavia. Una vicenda che aveva sconvolto l’opinione pubblica e dato il via a un processo lungo e controverso, con ribaltamenti nelle diverse fasi di giudizio, e una condanna che arrivò solo al termine del terzo grado, dopo un primo proscioglimento e una lunga battaglia legale.
Con la semilibertà, Stasi entra in una fase del percorso penitenziario che ha come obiettivo la progressiva rieducazione e il reinserimento nella società, sotto controllo costante e con obbligo di rientro serale. Una misura prevista dalla legge per detenuti che abbiano scontato una parte significativa della pena e che dimostrino di aver intrapreso un cammino credibile di responsabilità e cambiamento. Resta tuttavia il peso morale e simbolico di una decisione che tocca una delle vicende giudiziarie più discusse dell’ultimo ventennio italiano. Una storia che, pur chiusa dal punto di vista processuale, continua a provocare domande e riflessioni nella coscienza collettiva.