Il Parlamento europeo ha approvato la direttiva europea che disciplina la diffusione di contenuti coperti da diritti d'autore. Con 348 voti a favore e 274 contrari, gli articoli 11 e 13 sono diventati realtà, tra le proteste dell'informazione indipendente ed il sollievo dei colossi dell'editoria e della musica
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Si è conclusa una settimana storica per la rete. Di fatto, viene regolata la condivisione di link e contenuti protetti: il Parlamento Europeo ha appena approvato la direttiva europea sul copyright. Con 348 voti a favore e 274 contrari, gli articoli 11 e 13, tacciati di introdurre di fatto una sorta di Siae della rete, sono diventati realtà. Pur approvati in modo fortemente depotenziato (non è passata la link tax, ad esempio, sulla condivisione dei link, e meme e gif sono rimasti fuori dal provvedimento che tutela i materiali protetti da diritti d'autore), introducono comunque delle norme regolanti la circolazione dei contenuti. Al momento, la direttiva deve essere recepita in Italia, e non è detto che non ci siano delle modifiche di forma e di sostanza: ma in linea generale possiamo dire che se festeggiano i colossi dell'editoria e della musica, che adesso potrebbero - ma fino a che punto? - avere un peso contrattuale diverso, tanti altri (i piccoli, gli indipendenti, quelli cioè che fanno informazione svincolata dai colossi del web) concordano sul fatto che “Internet è morto”.
Qual è il problema di fondo?
Riccardo Coluccini, nel suo articolo su Motherboard, traccia un quadro a tinte fosche delle conseguenze. «L’articolo 11 obbliga chi pubblica estratti anche brevi delle notizie e dei contenuti, a stringere accordi con gli editori. (...) L’articolo 13 prevede che tutti i siti e le app che permettono l’accesso o la condivisione di materiali protetti dal diritto d’autore - e ne traggono una qualche forma di profitto economico - siano considerati responsabili per eventuali violazioni (eccezion fatta per le aziende che hanno meno di tre anni di attività in Europa, un fatturato minore di 10 milioni di euro e meno di 5 milioni di visitatori unici al mese)».
La mobilitazione
«In opposizione a questa normativa - prosegue Coluccini - abbiamo assistito ad una delle più grandi mobilitazioni cittadine degli ultimi anni su un tema digitale. 200 mila persone sono scese in piazza in molte città d’Europa, la petizione online che chiedeva la rimozione di due articoli particolarmente discussi, ha raggiunto il record di 5 milioni di firme». Una mobilitazione che non è bastata «a fermare la direttiva che introduce una macchina della censura preventiva, che dovrà filtrare ogni contenuto caricato online», e che «alcuni europarlamentari si sono ostinati a svilire ogni critica liquidandola come fake news (…) Tacendo completamente, però, le pressioni portate avanti dalle lobby editoriali e del mondo della musica».
La tassa sulle citazioni
Guido Scorza, su Agenda Digitale e sul Fatto Quotidiano, scrive che la nuova normativa «crea in sostanza una sorta di tassa sulle citazioni: gli editori dovranno autorizzare espressamente ogni ripubblicazione delle loro notizie, salvo che si tratti di singole parole o “estratti molto brevi”. Quanto brevi? Non è specificato. (…) Una norma del genere già esiste in Spagna e ha prodotto la concentrazione del traffico sui grandi editori, svantaggiando quelli piccoli». E per chi pubblica da paesi extra Ue? Per loro, non cambierà nulla. «Il risultato, è che chi sta nell’Ue verrà penalizzato, mentre chi ne sta fuori (Google o Facebook, per esempio) continuerà come prima, e anzi: meglio di prima, dato che nessun europeo se la sentirà di costituire un’azienda concorrente».
Le reazioni
Gli ottimisti ipotizzano anche che dal punto di vista tecnico, se i piccoli editori si unissero per andare dai colossi web e dicessero in sostanza "noi vi diamo i nostri contenuti, voi privilegiateci rispetto ad altri" si aprirebbe un panorama inesplorato, altri, nell’immediato, tuonano contro il provvedimento. Luca Sofri twitta: «Al di là di tutte le ragioni e i torti, nessun giornale è capace di spiegare come mai, se Google o Fb sfruttano i contenuti “senza dare nulla in cambio”, nessuno di quei giornali faccia la cosa più semplice: non indicizzarsi su Google, star via da Fb. La risposta è facile». Altra denuncia accorata quella dell’europarlamentare verde, Julia Reda: «Così com'è, la nuova legge sul copyright minaccia la libertà di internet per come la conosciamo (…) Obbligare le piattaforme a usare i filtri di caricamento implicherà un maggior numero di blocchi di contenuti legali e renderà più difficile la vita delle piattaforme più piccole che non possono concedersi costosi software per filtrare».
Diversa la posizione di Andrea Fioravanti su L'inkiesta: «Il Parlamento europeo ha approvato un concetto su tutti: una società è tenuta a pagare per il materiale che utilizza per realizzare profitti. Nel mondo offline, quello reale, è una cosa scontata. Dal proprietario del locale che paga la Siae (o soundreef) delle canzoni eseguite dalla band all'editore che remunerà chi scrive un articolo sul cartaceo. Perché non può essere così anche per chi ci ha guadagnato molto in questi anni promuovendo questi contenuti?».
Cosa cambierà dopo la riforma?
Riprendiamo l’analisi della piattaforma Motherboard fatta da Vincenzo Tiani, docente della Libera Università di Lingue e Comunicazione, e contributor di Wired. L’analista entra nel dettaglio delle modifiche più sostanziali:
«Gli aggregatori di news (Google News, Apple News, Flipboard...), costretti a chiedere una licenza ai giornali per pubblicare link alle loro notizie, potrebbero non pubblicare più i contenuti di giornali e media europei. (Sia in Spagna che in Germania in passato è stata approvata una legge simile: dopodiché, Google News ha preferito non pagare, chiudendo in Spagna, con conseguente calo di traffico verso i giornali spagnoli).
Idem per i social: potrebbe non essere più possibile linkare notizie di media europei. (Mentre le fake news fatte in Russia invece potranno circolare liberamente, non essendo soggette alla direttiva).
Su YouTube e Facebook, caricare un video in cui si suona una cover qualsiasi potrebbe rivelarsi problematico».
Responsabilità o censura?
Tiani conclude con alcune riflessioni di fondo. «Con l’articolo 13 la riforma vuole responsabilizzare le piattaforme, come i social media o YouTube, che ospitano contenuti caricati dagli utenti che violano il copyright. Se venissero chiamati a rispondere per ogni singola violazione, queste piattaforme saranno costrette a usare algoritmi, incapaci di riconoscere bene le varie eccezioni del copyright» (in sostanza, tra Bach o David Bowie, ndr). Nell’internet post riforma – conclude Tiani - l’utente normale perderà tante libertà, anche fondamentali. Nella peggiore delle ipotesi non potrà caricare (certe) foto, (certi) video in cui suona e non potrà commentare e condividere con i suoi amici le notizie dei giornali che legge. Il che sembra molto assurdo considerando che questa doveva essere la riforma che avrebbe dovuto renderci pronti ai cambiamenti dei prossimi 15 anni almeno. Speriamo che ancora una volta l’innovazione corra più in fretta del diritto, perché non è questo il diritto di cui avevamo bisogno».