C’è una giustificazione che ricorre ormai sempre più spesso nelle parole dei politici che sono al governo o aspirano ad arrivarci: priorità. Tutto ciò che non viene annoverato come priorità, tutto ciò che non serve ad affrontare un’emergenza, diventa implicitamente inutile, superfluo, un lusso che non possiamo permetterci. Anche se quell’emergenza sulla quale si fa leva è ormai cronica e dura da decenni.

La culla degli sprechi

La dittatura delle priorità è una iattura per l’Italia, e a maggior ragione per la Calabria, dove i bisogni sono sempre soverchianti rispetto alle ambizioni. Se c’è una priorità da affrontare, non c’è visione, c’è solo contingenza, urgenza. Non c’è tempo di pensare, né di programmare. E chi osa invocare una prospettiva temporale più ampia, viene quasi sempre additato come irresponsabile. Eppure, le priorità sono la culla di sprechi epocali.

La madre di tutte le priorità in Calabria: la Sanità

Pensiamo alla Sanità calabrese, che coincide essa stessa con il concetto di emergenza. Sono decenni che si procede con una gestione “straordinaria” del settore, che però ha perso da tempo immemorabile i crismi della straordinarietà.

L’ordinaria carenza di medici, strutture e servizi adeguati è una priorità senza fine che richiede continuamente di essere rattoppata. E i medici recentemente arrivati da Cuba, sono, appunto, soltanto l’ultima toppa per evitare che la Sanità calabrese finisca in brandelli così minuti da non essere non più rammendabili. 

Con i banchi a rotelle verso il baratro

Allargando lo sguardo al contesto nazionale, un esempio su tutti può essere quello dei famigerati banchi a rotelle: 120 milioni di euro che ora marciscono nei sottoscala delle scuole italiane. Una spesa abnorme, giustificata, a suo tempo, con la necessità di affrontare un’emergenza nel contesto della prima ondata pandemica, in attesa che diventi prioritario (e dunque finanziabile) anche il loro costoso smaltimento.

Ormai è quasi impossibile contrastare questa logica, che spesso diviene l’alibi perfetto per una classe politica mediocre, svogliata e incapace di guardare oltre l’orizzonte del proprio immediato tornaconto, magari attingendo riscontri facili in quel fast-food del consenso che sono i social media.

I giovani? Non sono una priorità

Eppure, nonostante l’apparente ineluttabilità, all’alba di un nuovo anno, non possiamo rassegnarci ad accettare questa deriva. Perché a pagare il prezzo più alto sono (e saranno) i nostri giovani. Ragazzi e ragazze a cui abbiamo trasmesso una sconvolgente passività, ormai consapevoli che loro, per noi, non sono certo una priorità.

I "gretini" non sono loro

Negli ultimi anni abbiamo vissuto eventi enormi che in altre epoche avrebbero mobilitato milioni di giovani, dalla pandemia alla guerra nel cuore dell’Europa, passando per quella che probabilmente è la paurosa accelerazione della sesta estinzione di massa: il cambiamento climatico. Soltanto su questo ultimo tema, prima che il Covid diventasse la priorità, si è assistito negli anni scorsi a un sussulto di movimentismo giovanile, grazie anche alla visibilità mediata conquistata da Greta Thunberg, con manifestazioni di piazza e dibattiti che per breve tempo hanno coinvolto tantissimi ragazzi.

Ma ci abbiamo messo poco a ridicolizzare anche questo barlume di futuro migliore, disinnescando la protesta e riconducendo tutto nuovamente nella sterile invettiva social. “Gretini”, così vengono definiti oggi anche da importanti organi di stampa. Perché le priorità sono altre, spiegano. Come le bollette, l’inflazione, la contrazione dei consumi, il Pil. La madre di tutte le priorità, insomma, è sempre e comunque rappresentata dai soldi. I giovani restano sullo sfondo, come comparse mute di una tragedia interpretata da saltimbanchi che urlano e si sbracciano. Senza che nessuno chieda loro cosa ne pensino. Mai.

Università che non dà voce agli studenti

È successo recentemente anche a Cosenza, con il tossico dibattito che si è sviluppato intorno all’istituzione del nuovo corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Un evento che invece di essere accolto come l'opportunità di ampliare l'offerta formativa in Calabria, si è trasformato in una guerra di campanile con Catanzaro, sede di quello che per ora è l’unico policlinico regionale, che ha visto sindaci, rettori, professori e politici schierarsi solo in base al proprio certificato di residenza.

A chi quella nuova Facoltà dovrà frequentarla, cioè i giovani, non è stato chiesto nulla, né - a dire il vero - i movimenti studenteschi (esistono ancora?) si sono fatti sentire. Eppure l’università, al netto di parrucconi e potere politico, è di chi ci studia o ci dovrà studiare. E invece, la sensazione è stata quella di un confronto che ha ignorato completamente gli studenti. Un dibattito del tutto insensibile, ad esempio, alla difficoltà di raggiungere Catanzaro per un giovane cosentino che vuole diventare medico: un’odissea che prevede, nella migliore delle ipotesi, tre ore di viaggio per coprire poco più di 60 chilometri, se si usano i treni locali ancora a scartamento ridotto. In autobus, ci vuole pure di più.

Il controesodo natalizio: ci vediamo a Pasqua

Intanto, il controesodo natalizio è già cominciato. Come ogni inizio di gennaio, decine di migliaia di giovani calabresi sono già sulla via di ritorno verso le città del Nord dove studiano e lavorano. Una routine che anno dopo anno, generazione dopo generazione, ci costringe a salutare il nostro futuro mentre si allontana in treno o scompare dietro le porte dell'accesso agli imbarchi. Ci rivedremo a Pasqua. Ora le priorità sono altre.