Ora la legge dovrà tornare in Parlamento con un messaggio chiarissimo: non è consentito aggirare i principi di unità della Repubblica, solidarietà tra le Regioni, uguaglianza e garanzia dei diritti dei cittadini
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Con buona pace di chi trova consolante che la legge sull’Autonomia differenziata non sia stata bocciata in toto, va da sé che il pronunciamento della Corte costituzionale rappresenta un enorme ed evidente segnale di stop. Il ricorso presentato da Puglia, Sardegna, Toscana e Campania ha colpito dritto al cuore una legge avversata dalla maggioranza degli italiani e contestata da tantissime forze economiche, sociali e intellettuali - e finanche dalla Chiesa.
I sette articoli dichiarati incostituzionali racchiudono la sostanza di una concezione sbagliata di autonomia che rischiava di creare danni irreparabili. “L’Autonomia differenziata che spacca l’Italia in due”, aveva evidenziato LaC Network nella fortunata campagna che ha raggiunto milioni di persone. Ora l’Autonomia stoppata e ridimensionata dalla Corte dovrà tornare in Parlamento con un messaggio chiarissimo: non è consentito aggirare i principi di unità della Repubblica, solidarietà tra le Regioni, uguaglianza e garanzia dei diritti dei cittadini, equilibrio di bilancio.
Il principio di “autonomia” di per sé non è in discussione. Il problema è nel peso della parola “differenziata”. Un peso che - restando intatti i sette articoli - sarebbe diventato ben presto un ulteriore fardello per un Mezzogiorno pronto a essere messo alle corde, con le risorse statali tenute ben strette dalle Regioni ricche in cambio della promessa di irrealizzabili Lep (Livelli essenziali di prestazioni). Il destino era segnato, un Sud sempre marginale e un Nord apparentemente libero da zavorre, con una sanità e una scuola da lotteria: vincente se si ha la fortuna di vivere in una regione ricca, perdente se si ha la sfortuna di nascere e abitare al Sud.
Gli intellettuali e le forze più dinamiche del nostro paese, insieme agli organi di informazione più attenti e sensibili al destino dell’Italia e dell’unità della Repubblica (tra i quali con orgoglio si colloca il nostro network), hanno costruito un formidabile muro d’opinione su queste norme, creando tra gli italiani e i meridionali un’attenzione alta e una condivisione che da tempo non si vedeva. La capacità di non assumere posizioni ideologiche, di non costruire a tavolino una partita tra Guelfi e Ghibellini, ha fatto sì che l’opposizione a questa autonomia differenziata fosse bipartisan tra i cittadini e non la bandiera di questo o quel partito o movimento.
La Corte costituzionale ha fatto il lavoro di cui una politica avveduta avrebbe dovuto occuparsi prima, costruendo l’autonomia di uno Stato moderno e unito. Invece si è rischiato di danneggiare anche quel Nord che si voleva favorire. Immaginate il Veneto con la competenza esclusiva di politiche energetiche, commercio estero o trasporti: che fine farebbe nel mercato internazionale di fronte alla competizione con Germania, Usa, Cina? Ma davvero qualcuno ha pensato che se la Lombardia si fosse tenuta i suoi soldi - e gestito tutte le funzioni - avrebbe potuto rapportarsi ad armi pari con gli altri Stati, magari negoziando le politiche sui dazi con Trump o acquistando il gas da Putin? Bocciando la distinzione tra materie Lep e non Lep, rimettendo al centro il Parlamento sulla determinazione dei livelli e ribadendo che non si possono trasferire intere competenze, ma solo singole funzioni, la Corte costituzionale ha difeso anche gli interessi delle Regioni più avanzate del paese.
C’è un altro aspetto da analizzare. La bocciatura, di fatto, dell’impianto della legge costituisce un favore inaspettato per Forza Italia, Fratelli d’Italia e la premier Meloni. Primo perché questo intervento potrebbe disinnescare il referendum popolare, dato che i punti controversi sono stati già individuati e colpiti. Un referendum che per la maggioranza rischierebbe di trasformarsi in una Caporetto. E poi perché questa legge voluta dalla Lega e maldigerita dagli alleati rischiava di creare - per questi ultimi - una frattura con l’elettorato di riferimento. È il caso di Forza Italia, che ha gran parte della sua forza al Sud e che ha tentato di smarcarsi da una legge che aveva votato. Ed è il caso del partito del Presidente del Consiglio, che su un tema molto caro alle destre come l’unitarietà dello Stato e l’uguaglianza dei cittadini rispetto alle prestazioni pubbliche erogate rischia di fare harakiri, a fronte di un’opposizione che, almeno su questo tema, è apparsa compatta e sintonizzata sull’umore popolare.
La Consulta ha tolto le castagne dal fuoco alla politica, restituendo al Parlamento la centralità che gli era stata tolta dal Governo. Con la sentenza ha disegnato un perimetro di gioco ben preciso, ribadendo che i valori fondanti della Repubblica e l’uguaglianza di tutti i cittadini non possono essere messi superficialmente in discussione per soddisfare pochi a discapito di molti.
La Corte ha palesato anche una forte sintonia con l’opinione pubblica che, ancora una volta, ha dimostrato di essere molto più avanti di chi – soprattutto in questa fase storica caratterizzata da guerre, incertezze e paure – ha il dovere di cercare l’unità e le convergenze necessarie per il Paese invece che puntare sulle divisioni. E questo vale per tutti. La capacità di essere uniti, quel sano patriottismo che rimanda ai grandi padri dell’Italia unita e della Repubblica, sono l’unico antidoto a un futuro che pare incerto e dai confini indecifrabili.