VIDEO | Nella provincia più povera d'Italia le nuove chiusure minacciano la sopravvivenza di molte attività. Il settore dell'abbigliamento tra i più colpiti: «Abbiamo bisogno di aiuti concreti, basta sacrifici»
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Nella provincia più povera d'Italia il secondo lockdown arriva come una mannaia che minaccia di falcidiare decine di attività commerciali che speravano nelle festività natalizie per ridare ossigeno ai loro già provati bilanci. Ordini spediti, merce già arrivata ma negozi chiusi. L'abbigliamento è il settore che insieme alla ristorazione, pagherà il prezzo più alto di una serrata che - secondo gli addetti - si poteva e doveva evitare.
Lungo corso Vittorio Emanuele III, i commercianti si preparano alla chiusura. È una vigilia anomala. Il corso è gremito di passanti che fanno le scorte in vista dei primi 15 giorni di stop. «E poi? Ce ne saranno altri 15? La regione Calabria diventerà zona arancione?». Dipenderà tutto dalla curva dei contagi. Lo sanno bene i titolari delle attività, che stasera abbasseranno le saracinesche.
Il nuovo Dpcm getta nel panico il settore della moda spiega, Antonella Petracca, presidente di Federmoda Confcommercio di Vibo Valentia: «Abbiamo bisogno di aiuti concreti, di misure tangibili». Le fa eco il Presidente di Ascom Vibo Valentia, Michele Catania: «Già il primo lockdown è stato pesante. Il secondo sarà devastante per la categoria. Ancora non sappiamo che tipo di ristori sono stati previsti. Non sappiamo cosa riceveremo né chi lo riceverà. Come faremo a gestire gli affitti dei locali, le bollette, le tasse, la merce già consegnata? A trarre benefici da questa situazione sarà ancora una volta l'e-commerce, che drenerà capitali fuori dalla Calabria e dall’Italia». Vendita online che, secondo Catania, andava regolamentata. Si appella infine al Prefetto affinché tuteli la categoria dei commercianti: «Le attività hanno bisogno di liquidità, altrimenti rischiano di non rialzarsi più».
Si prepara alla chiusura anche Nadia Mandarano. Per la giovane commerciante il Dpcm è ingiusto. «Non devo essere io a pagare gli sbagli di una mala gestione della sanità». Si rivolge direttamente al presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «Si metta una mano sulla coscienza e ci aiuti concretamente. Con il nostro lavoro mandiamo avanti famiglie e non possiamo permetterci di chiudere altri quindici giorni. Sacrifici ne facciamo da anni. Ora basta».