Reddito di cittadinanza, la Robbe ammette: «La Calabria non è pronta»

L'assessore regionale al Lavoro e alle Politiche sociali conferma le difficoltà legate soprattutto alla carenza di personale nei Centri per l'impiego: «La nostra preoccupazione è di non riuscire a dare risposte nei tempi necessari a persone che hanno reali necessità». Martedì nuovo incontro con il ministro a Roma

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di Rossella  Galati
9 febbraio 2019
17:43

«La Calabria non è ancora pronta al reddito di cittadinanza come non lo è nessuna regione d'Italia». Lo conferma l'assessore regionale al lavoro e alle politiche sociali Angela Robbe, ascoltata nel corso della terza commissione sanità, attività sociali, culturali e formative. Partiamo dai numeri. Le famiglie in stato di povertà assoluta in Calabria, secondo i dati Anpal, agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, sono oltre 163 mila, ovvero più di 411 mila persone, di queste i potenziali destinatari di politiche attive, che possono quindi lavorare, inattivi dai 15 ai 64 anni, sono circa 179 mila. Un esercito di poveri dunque che si scontra con un sistema impreparato alla nuova misura che sarà gestita dai Centri per l'impiego. Le regioni con le percentuali più alte dei destinatari di interventi di politiche attive sono la Sicilia, la Campania, la Sardegna e la Calabria dove dal mese di luglio 2018, momento in cui i Cpi da istituzioni provinciali sono diventati istituzioni regionali, è in atto un lavoro di armonizzazione dei metodi e degli strumenti.

Uffici impreparati

«Gli uffici iniziano ad essere affollati. La mole di lavoro che si aggiunge ora è consistente e la nostra preoccupazione - sottolinea l'assessore regionale - è di non riuscire a dare risposte nei tempi necessari a persone che hanno reali necessità, che non possono aspettare». Una mole di lavoro che graverà dunque su uffici già sottodimensionati per i quali, in base ad un accordo con il precedente Governo, dovrebbe arrivare una boccata d'ossigeno con 1600 nuove assunzioni in tutta Italia, 82 per la Calabria, per uno stanziamento di 460 milioni. «Oggi quei 460 milioni si sono ridotti - spiega la Robbe - quindi dobbiamo capire quanti ce ne toccano. Non solo. Oltre alle 1600 nuove figure a livello nazionale, tutte le regioni avevano spiegato che c'è bisogno di altre assunzioni. In Calabria abbiamo calcolato che ne servono altre 200. Ma questo discorso era stato fatto prima. Ora con il reddito di cittadinanza le cose cambiano ulteriormente».



Ridurre il carico di lavoro e poter lavorare meglio è questo ciò che è importante ora secondo l'assessore Robbe
che spiega: «Quando si parlava di reddito di inclusione, altra misura di contrasto alla povertà, il ruolo centrale era ricoperto dall’assistente sociale del Comune che aveva il compito di delineare un progetto personalizzato per il reinserimento lavorativo e l’inclusione sociale. Così, in base alle singole problematiche, erano gli assistenti sociali a smistare le persone verso i centri per l'impiego, ovviamente nel caso di persone "impiegabili", fungendo da filtro. Adesso con il reddito di cittadinanza ci si rivolge direttamente ai centri per l'impiego. Per questo abbiamo chiesto che venga mantenuto l'impianto degli assistenti sociali e poi dei Cpi. Stiamo ancora discutendo con il Ministero per trovare una formula che aiuti tutti e non penalizzi nessuno, né i centri né le persone che devono percepire il beneficio».

Martedì nuovo incontro con il ministro

E intanto proseguono gli incontri con i responsabili dei Cpi che, da quando sono passati alle regioni stanno portando avanti un lavoro di riorganizzazione.«Se prima le cinque province lavoravano autonomamente, ora si lavora armonicamente. E questo processo del reddito di cittadinanza cade proprio in un momento in cui è necessario uno sforzo maggiore - spiega l'assessore al lavoro -. La nostra preoccupazione dipende dal numero di persone che sono nei Cpi e dalla necessità che hanno di essere formate e di avere una implementazione di personale. In questa prima fase i navigator non c'entrano nulla. E' una situazione preoccupante anche perché il Decreto ci dice che entro 30 giorni dalla domanda, se non si fa la presa in carico e il patto di servizio, decade la possibilità di percepire il beneficio. Noi stiamo chiedendo che entro 30 giorni si faccia la presa in carico ma che il patto sia fatto entro un termine più lungo per essere preparati e non rischiare di far perdere alle persone il contributo di 780 euro».


L'altra preoccupazione riguarda poi le tre proposte di lavoro:
«La prima abbraccia un raggio di 100 chilometri, la seconda 250, la terza tutto il territorio italiano e, qualunque sia, bisogna accettarla. Questo è un aspetto pericolosissimo. Non è possibile mandare via le persone, non ce lo possiamo permettere. In una regione che soffre per lo spopolamento, noi mandiamo via la gente?» Dunque tanti gli ostacoli ancora da superare, dalla carenza di personale alla necessità di averlo qualificato, dalla creazione di infrastrutture adeguate al rafforzamento della dotazione informatica e della connettività degli uffici. Di tutto questo si discuterà martedì a Roma. «Dopo l'audizione alla Camera - fa sapere l'assessore Angela Robbe - ci sarà un nuovo incontro con il ministro».

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