Da uno studio della Cgia di Mestre emerge la scarsa qualità della burocrazia italiana. Un’inefficienza che ha un costo di 57 miliardi di euro l’anno. A fare peggio di tutti è la Calabria
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Ultimi tra gli ultimi. Non è un’etichetta evangelica, ma la triste realtà calabrese che “conquista” un altro primato negativo. La Calabria, infatti, è ultima in Europa per qualità del suo apparato burocratico, che finisce per gravare soprattutto sulle imprese, soffocando le prospettive di sviluppo post Covid.
È quanto emerge dallo studio promosso dalla Cgia di Mestre, ormai da molti anni autorevole e puntuale fucina di ricerche statistiche sul tessuto economico italiano. «Dopo 2 anni di crisi pandemica - si legge nell’estratto della ricerca -, a cui si sono aggiunte negli ultimi mesi le difficoltà di reperire le materie prime e il caro energia, continua, in maniera altrettanto preoccupante, la stretta dell’oppressione burocratica sugli imprenditori». Una zavorra che, secondo la Cgia, genera in Italia un costo annuo di 57 miliardi di euro «a causa dell’eccessivo numero di adempimenti, di permessi e l’espletamento delle pratiche».
Lo studio, redatto alla luce delle analisi elaborate dall’Istituto Ambrosetti e da Deloitte, pone dunque l’Italia agli ultimi posti in Europa per qualità della burocrazia e, in questa cornice, la Calabria è, appunto, quella che fa peggio, attestandosi al 207° posto. La precedono Campania (206°), Basilicata (196°), Sicilia (191°) e Puglia (190°). Tutte regioni meridionali che confermano, anche in questo caso, «forti differenziazioni tra Nord e Sud, nonché tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale».
«Nel Mezzogiorno, dove la nostra Pubblica Amministrazione è meno efficiente – sottolinea la ricerca -, la situazione è maggiormente critica. Non è un caso, infatti, che molti investitori stranieri rifiutino a trasferirsi in Italia proprio per la difficoltà di approcciarsi con il nostro sistema burocratico che non ha eguali tra i nostri principali partner europei».
D’altronde, ciò che appare logico a tutti (meno ostacoli corrispondono a più opportunità di sviluppo) è anche certificato nero su bianco dall’Ocse, che ha rilevato una più alta produttività media delle imprese italiane nelle zone dove l’Amministrazione pubblica è più efficiente. Inoltre, «l’inefficienza del settore pubblico “produce” più costi economici alle piccole che alle grandi imprese». A subire le conseguenze maggiori, quindi, sono le aziende più piccole. Una situazione che taglia le gambe alle aspettative di rilancio e compromette l’efficacia degli investimenti pubblici, come le risorse del Pnrr.
Ma è tutta l’Italia che, messa a paragone con le altre realtà europee, non se la passa bene, con la prima realtà territoriale italiana per qualità istituzionale, cioè la Provincia Autonoma di Trento, che si colloca al 100° posto in Europa.
«Il risultato che emerge dal confronto con gli altri Paesi europei è impietoso – scrive la Cgia di Mestre -. Nel decennio 2008-2018, gli ultimi dati disponibili dati del World Economic Forum mostrano che il grado di complessità amministrativa che grava sulle imprese è nettamente superiore da noi che negli altri principali paesi nostri competitori. Nel rank mondiale ci posizioniamo al 136° posto: rispetto a 10 anni prima abbiamo perso addirittura sei posizioni».
A lamentarsi non sono solo le imprese ma anche i cittadini, tanto che nell’ultima indagine effettuata dalla Commissione Europea, su un campione di intervistati tra il 18 gennaio e il 14 febbraio di quest’anno, emerge che tra i 27 paesi Ue, l’Italia si colloca desolatamente al 24° posto: «Solo Romania, Bulgaria e Grecia registrano un livello di gradimento dell’offerta dei servizi pubblici inferiore al nostro», con solo 35 italiani su 100 che considera “abbastanza buona e molto buona” l’offerta resa dalla nostra Pa.