Intervista al docente dell’Unical: «Senza uno shock regione destinata a essere sempre più povera e assistita». Le speranze sono la Zes e il Pnrr. «Ma senza una strategia di rinnovamento strutturale la crescita è una chimera»
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L’inizio anno è sempre foriero di buoni propositi e speranze. Quello che tutti sperano è che il 2024 sia un anno capace di imprimere una svolta, sia sociale sia economica, alla nostra regione. Ma quali sono le previsioni degli economisti sulla Calabria per l’anno che verrà? Ne abbiamo parlato con Francesco Aiello, professore ordinario di Politica Economica del Desf, UniCal.
Esistono stime sulla crescita della Calabria nel 2024?
«Essendo di piccola dimensione, l’economia calabrese segue l’andamento della crescita attesa per l’Italia. È, quindi, utile ricordare che secondo le recenti stime della Banca d'Italia, della Svimez e dell'Istat, l'Italia osserverà una crescita del Pil intorno allo 0,6% - 0,7% per il 2024. Queste proiezioni incorporano l’ipotesi di riduzione dei prezzi al consumo, di una graduale ripresa del commercio mondiale e dell'attuazione nel 2024 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. L’unico istituto che fornisce dati disaggregati su base regionale è la Svimez, la quale prevede per la Calabria una crescita che si attesta intorno al +0,3%, risultando la più bassa tra le regioni del Mezzogiorno (che in media crescerà, per la Svimez, dello 0,6%). In un quadro di generalizzata bassa crescita del 2024, la dinamica della Calabria sarà la più lenta tra le regioni meridionali, nonostante la spesa pubblica trainata dal Pnrr».
Cosa determina questo immobilismo dell’economia calabrese?
«L’immobilismo si spiega guardando alla composizione settoriale della ricchezza regionale. Nel 2021, l’apporto principale – ben l’81% – al valore aggiunto regionale proviene dal settore terziario. L’agricoltura, la silvicoltura e la pesca contribuiscono per il 5,5%, la quota delle costruzioni è pari al 5.5%, mentre l’industria in senso stretto pesa solo il 7,8%. Questi dati segnalano la presenza di un paradosso molto eloquente: dovremmo essere in media molto ricchi, poiché apparteniamo a un’economia ad elevata terziarizzazione, ma nella realtà il Pil pro-capite è il più basso d’Italia (17,6 mila euro nel 2021). Il motivo è che la terziarizzazione è dovuta al dominante ruolo dei servizi tradizionali (commercio, trasporto, attività immobiliari, alloggio e ristorazione) e della pubblica amministrazione, settori a basso valore aggiunto, mentre residuali sono i servizi ad elevata specializzazione e a sostegno delle imprese. Manca la componente che traina lo sviluppo, ossia le imprese private nel settore manifatturiero che competono sui mercati extraregionali e mondiali. È complicato pensare che con queste caratteristiche strutturali, l’economia calabrese riesca ad intercettare la crescita nelle fasi di espansione dell’economia. È cruciale dire che la composizione settoriale dell’economia calabrese non nasce ieri ed è difficile da cambiare nel breve periodo».
Sembra che non ci siano speranze…
«Purtroppo, in assenza di radicali trasformazioni strutturali, la Calabria sarà destinata ad essere sempre meno popolata, sempre più povera e sempre più assistita. Un’economia debole e dipendente dai trasferimenti pubblici che, a vario titolo, arrivano ciclicamente da Roma e da Bruxelles».
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Eppure alcune novità importanti caratterizzeranno il 2024. Mi riferisco, per esempio, all’avvio della Zes unica e alla realizzazione dei progetti finanziati dal Pnrr. Per esempio, quale potrebbe essere secondo lei l’impatto della Zes unica in Calabria?
«La Zes unica è migliorativa rispetto al passato. Innanzitutto per la copertura finanziaria: la dotazione per il credito di imposta complessivo del 2024 fissata dalla Legge di Bilancio è pari a 1,8mld di euro. Inoltre, rispetto al Bonus Sud 2023, cosiddetto Credito d’Imposta Mezzogiorno, con la Zes unica è ammesso il credito di imposta anche per l’acquisto di terreni e immobili. Il regime di aiuti è previsto per progetti di investimento fino a 100 milioni di euro e varia al variare della dimensione dell’impresa. La regola generale è che le piccole e le medie imprese godranno di un credito di imposta pari, rispettivamente, al 60% e al 50% dei costi ammissibili per progetti fino a 50milioni di euro, mentre per le grandi imprese il beneficio fiscale sarà pari al 40%. Si tratta di vantaggi fiscali superiori a quelli previsti dal Bonus Sud 2023, che fissava al 45%, 35% e 25% il credito di imposta, rispettivamente, per le piccole, medie e grandi imprese. È plausibile pensare, quindi, che i vantaggi fiscali sono a un livello tale da rendere conveniente l’avvio di nuovi investimenti. Si tratta, però, come dimostra la storia decennale delle politiche industriali nel Mezzogiorno d’Italia, di una condizione necessaria, ma non sufficiente: la convenienza relativa ad investire in un determinato luogo piuttosto che in un altro non è unicamente determinata dalla fiscalità di vantaggio».
Ma in un contesto in cui più regioni godono dello stesso regime di aiuti, perché un investitore dovrebbe scegliere di localizzare le proprie attività in Calabria, piuttosto che in Puglia o in Campania?
«A parità di aiuto fiscale e di snellimento delle procedure amministrative, i capitali si concentreranno nelle aree che hanno meno costi di accessibilità e offrono più servizi alle imprese (rete di trasporti efficiente, energia affidabile, disponibilità di infrastrutture tecnologiche avanzate) e che hanno qualche vantaggio di localizzazione legato alla possibile riduzione dei costi di approvvigionamento e di vendita. Senza dimenticare che l’attrattività di un territorio dipende molto dalla qualità della vita del contesto, ossia dall’offerta di servizi pubblici efficienti, istruzione di qualità, assistenza sanitaria accessibile, giustizia certa e veloce e un ambiente culturale stimolante. In assenza di queste condizioni, parlare di crescita, restanza, tornanza, ripopolamento dei borghi è un puro esercizio accademico, un vezzo tra intellettuali».
Il passaggio della governance dai territori allo Stato centrale è un vantaggio o un punto di debolezza?
«Esistono altri due potenziali punti di debolezza della Zes unica, che derivano in modo esclusivo dal fatto che il progetto non è inserito in un’organica strategia di politica industriale per il Sud e che la localizzazione degli investimenti industriali non ha alcun vincolo territoriale. Così come nella precedente architettura istituzionale con le otto Zes in ciascuna regione del Mezzogiorno, anche in questo caso il regime di aiuti fiscali e lo snellimento delle procedure amministrative sono pensati per avviare Zes generaliste, de-specializzate, quando, al contrario, sarebbe più efficace puntare a delle concentrazioni spaziali di attività produttive specializzate in pochi settori, che, nella fase iniziale, possono essere fortemente legati alle vocazioni territoriali di ciascuna regione».
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Sulla Zes unica rimane da commentare l’assenza di restrizioni territoriali
«Su questo aspetto è utile ricordare che le Zes sono state istituite nel 2017 dal Governo Gentiloni con l'intento di incentivare investimenti produttivi nelle aree limitrofe ai porti nel Mezzogiorno, allo scopo di superare una delle principali sfide all'industrializzazione del Sud: la distanza geografica dai mercati di approvvigionamento e di distribuzione. Tuttavia, l'implementazione di una Zes unica potrebbe comportare il rischio di non considerare appieno i vantaggi derivanti dalla localizzazione vicina alle vie del mare. Con questa prospettiva, gli investimenti potrebbero essere distribuiti in tutto il Mezzogiorno anziché concentrarsi nelle zone adiacenti ai porti, perdendo in tale modo l'opportunità di sfruttare in modo compiuto i benefici strategici offerti dalla prossimità ai principali hub marittimi. Un esempio chiarisce il punto: i costi di trasporto di un’impresa globalizzata, ossia che importa beni intermedi ed esporta beni finali, che è localizzata nel retroporto di Gioia Tauro sono infinitamente inferiori ai costi di un’altra impresa che opera in qualsiasi altra parte della Calabria. Questo rischio si può annullare fissando una priorità di politica industriale: rendere altamente attrattivo il retroporto di Gioia Tauro e canalizzare in quegli spazi tutti i nuovi investimenti Zes per trasformare l'intera area in un polo industriale su cui puntare per dare una speranza di crescita alla Calabria. Disperdere risorse in tutta la regione non ha alcun senso. È tutt'altro che un’opzione di sviluppo industriale trainato da una Zes».
Ci dà poche speranze quindi sul definitivo decollo della Calabria…
«L'avvio della Zes unica e il Pnrr potrebbero rappresentare passi significativi verso un cambiamento. Tuttavia, è necessario che le politiche pubbliche siano finalizzate a soddisfare le pre-condizioni dello sviluppo e non a perpetuare sperperi di risorse finanziare. In tale direzione, diventa cruciale adottare politiche industriali che favoriscano la concentrazione di investimenti di grandi dimensioni in settori strategici e in territori chiave, come, ad esempio, il retroporto di Gioia Tauro o in prossimità dei poli universitari. Solo attraverso una strategia di rinnovamento strutturale, volta a valorizzare le peculiarità regionali e a promuovere settori ad alto valore aggiunto, la Calabria potrà sperare in una crescita economica duratura e nel miglioramento della qualità della vita dei suoi cittadini».