Secondo le stime, nel 2050 perderemo 4,5 milioni di residenti e i giovani compresi nella fascia tra i 18 e i 34 anni saranno appena il 15,2%. La fotografia del Centro studi ci ritrae «ciechi dinanzi ai presagi» e preda di timori che trasformano in emergenza anche ciò che non lo è
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“Un popolo di sonnambuli”. È un termine che rimbalzerà ovunque quello che ha usato il Censis per il suo ultimo rapporto sulla società italiana, diffuso oggi. «I sonnambuli: ciechi dinanzi ai presagi – si legge nella nota esplicativa -. Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, o sono comunque sottovalutati. Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema, l’insipienza di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza. La società italiana sembra affetta da sonnambulismo, precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti funesti.
Nel 2050 l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti (come se le due più grandi città, Roma e Milano insieme, scomparissero). La flessione demografica sarà il risultato di una diminuzione di 9,1 milioni di persone con meno di 65 anni (in particolare, -3,7 milioni con meno di 35 anni) e di un contestuale aumento di 4,6 milioni di persone con 65 anni e oltre (in particolare, +1,6 milioni con 85 anni e oltre). Si stimano quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno nel 2050: una scarsità di lavoratori che avrà un impatto inevitabile sul sistema produttivo e sulla nostra capacità di generare valore.
Ma il sonnambulismo non è imputabile solo alle classi dirigenti: è un fenomeno diffuso nella «maggioranza silenziosa» degli italiani. Resi più fragili dal disarmo identitario e politico, al punto che il 56% (il 61,4% tra i giovani) è convinto di contare poco nella società. Feriti da un profondo senso di impotenza, se il 60,8% (il 65,3% tra i giovani) prova una grande insicurezza a causa dei tanti rischi inattesi. Delusi dalla globalizzazione, che per il 69,3% ha portato all’Italia più danni che benefici. E rassegnati, se l’80,1% (l’84,1% tra i giovani) è convinto che l’Italia sia «irrimediabilmente in declino».
Il mercato dell’emotività
Il Censis si inabissa dunque nei meandri delle ragioni sociali di questo sonnambulismo sociale e mette l’accento su quella che definisce «ipertrofia emotiva in cui la società italiana si è inabissata». «Le argomentazioni ragionevoli – continua il rapporto - possono essere capovolte da continue scosse emozionali. Tutto è emergenza: quindi, nessuna lo è veramente. Così trovano terreno fertile paure amplificate, fughe millenaristiche, spasmi apocalittici, l’improbabile e il verosimile. L’84,0% degli italiani è impaurito dal clima «impazzito», il 73,4% teme che i problemi strutturali irrisolti del nostro Paese provocheranno nei prossimi anni una crisi economica e sociale molto grave con povertà diffusa e violenza, per il 73% gli sconvolgimenti globali sottoporranno l’Italia alla pressione di flussi migratori sempre più intensi e non saremo in grado di gestire l’arrivo di milioni di persone in fuga dalle guerre o per effetto del cambiamento climatico, il 53,1% ha paura che il colossale debito pubblico provocherà il collasso finanziario dello Stato.
Il ritorno della guerra ha suscitato nuovi allarmi: il 59,9% degli italiani ha paura che scoppierà un conflitto mondiale che coinvolgerà anche l’Italia, per il 59,2% il nostro Paese non è in grado di proteggersi da attacchi terroristici di stampo jihadista, il 49,9% è convinto che l’Italia non sarebbe capace di difendersi militarmente se aggredita da un Paese nemico, per il 38,2% nella società sta crescendo l’avversione verso gli ebrei.
Anche il welfare del futuro instilla nell’immaginario collettivo grandi preoccupazioni: il 73,8% degli italiani ha paura che negli anni a venire non ci sarà un numero sufficiente di lavoratori per pagare le pensioni e il 69,2% pensa che non tutti potranno curarsi, perché la sanità pubblica non riuscirà a garantire prestazioni adeguate.
Sono scenari ipotetici che paralizzano invece di mobilitare risorse per la ricerca di soluzioni efficaci e generano l’inerzia dei sonnambuli dinanzi alla complessità delle sfide che la società contemporanea deve affrontare».
Il tempo dei desideri minori
In questo contesto tutto viene minimizzato, interiorizzato e le grandi ambizioni scompaiono e la felicità, o quanto meno una sua parvenza, viene cercata nelle piccole e piccolissime cose, perché questo è il tempo «dei desideri minori»: «Non più uno stile di vita all’insegna della corsa irrefrenabile verso maggiori consumi per conquistarsi l’agiatezza, ma una più pacata ricerca di piaceri consolatori per garantirsi uno spicchio di benessere. Per l’87,3% degli occupati mettere il lavoro al centro della vita è un errore. Non è il rifiuto del lavoro in sé, ma un suo declassamento nella gerarchia dei valori esistenziali. Non sorprende quindi che il 62,1% degli italiani avverta il desiderio quotidiano di momenti da dedicare a sé stessi o che un plebiscitario 94,7% rivaluti la felicità derivante dalle piccole cose di ogni giorno, il tempo libero, gli hobby, le passioni personali. Rispetto al passato, l’81% degli italiani dedica molta più attenzione alla gestione dello stress e alla cura delle relazioni, perni del benessere psicofisico individuale».
Una nuova (e più triste) economia
Tra le cause di tutto ciò non poteva mancare il rallentamento dell’economia e la fine dell’espansione monetaria. «Il segno negativo davanti alla variazione del Pil nel secondo trimestre dell’anno (-0,4%) – spiega il Censis - e poi la stagnazione dell’economia registrata nel terzo trimestre (0,0%) certificano una nuova fase di incertezza, che peraltro ancora non incorpora gli effetti del conflitto in Medio Oriente. Tra il primo e il secondo trimestre di quest’anno si sono ridotti dell’1,7% gli investimenti fissi lordi (in particolare nelle costruzioni: -3,3%). Molte delle attese di rafforzamento del sistema produttivo si sono riversate sulle potenzialità del Pnrr, che secondo le stime raggiungerà alla fine del 2023 una percentuale di completamento pari al 50%, rispetto a una tabella di marcia che prevedeva il 74%».
Il paradosso: boom di occupati
«Siamo passati rapidamente dagli allarmi sugli elevati tassi di disoccupazione al record di occupati, mentre il sistema produttivo lamenta sempre più frequentemente la carenza di manodopera e di figure professionali». È forse questo il trend più difficile da interpretare, che sembra in contrasto con le altre tendenze.
«La fase espansiva dell’occupazione, avviata già nel 2021 – si legge nel rapporto -, si è consolidata nel primo semestre di quest’anno. Tra il 2021 e il 2022 gli occupati sono aumentati del 2,4% e nei primi sei mesi dell’anno la crescita rispetto allo stesso periodo del 2022 è stata del 2%. Sono 23.449.000 gli occupati al primo semestre: il dato più elevato di sempre. Tuttavia, rispetto ai primi tre mesi di quest’anno, si sono ridotte le ore lavorate in tutti i settori produttivi: -3% nell’agricoltura, -1,1% nell’industria, -1,9% nelle costruzioni, -0,5% se si considera l’intera economia. L’Italia rimane comunque all’ultimo posto nell’Unione europea per tasso di occupazione: il 60,1%, aumentato di 2 punti percentuali tra il 2020 e il 2022, ma ancora al di sotto del dato medio europeo (69,8%) di quasi 10 punti. Se nel nostro Paese si raggiungesse il dato medio europeo, avremmo circa 3,6 milioni di occupati in più».
Tengo famiglia
«Le famiglie in Italia sono complessivamente 25,3 milioni. Quelle tradizionali, composte da una coppia, con o senza figli, sono il 52,4% del totale (erano il 60,0% nel 2009). Il 32,2% delle famiglie (8,1 milioni) è formato da una coppia con figli (nel 2009 la percentuale era del 39,0%). Il numero dei matrimoni si riduce (ne erano stati celebrati 246.613 nel 2008, solo 180.416 nel 2021) e oggi 1,6 milioni di famiglie (l’11,4% del totale) sono costituite da coppie non coniugate. Inoltre, dal 2018 al 2021 sono state celebrate 8.792 unioni civili (all’inizio del 2022 in Italia risultavano 17.453 cittadini uniti civilmente). I cittadini stranieri oggi sono presenti in 2,6 milioni di nuclei familiari (il 9,8% del totale) e 1,8 milioni di famiglie (il 7,0% del totale) sono composte esclusivamente da stranieri.
Sembra giunta a maturazione una nuova stagione di rivendicazioni di diritti civili, come dimostrano le opinioni espresse dagli italiani in merito ad alcune questioni dirimenti che faticano a trovare un riconoscimento ufficiale, per via legislativa. Il 74% si dice favorevole all’eutanasia, il 70,3% approva l’adozione di figli da parte dei single, il 65,6% si schiera a favore del matrimonio egualitario tra persone dello stesso sesso, il 54,3% è d’accordo con l’adozione di figli da parte di persone dello stesso sesso. Rimane invece minoritaria la quota di italiani (il 34,4%) che approvano la gestazione per altri (Gpa). Infine, il 72,5% è favorevole all’introduzione dello ius soli, ovvero la concessione della cittadinanza ai minori nati in Italia da genitori stranieri regolarmente presenti, e il 76,8% è favorevole allo ius culturae, ovvero la cittadinanza per gli stranieri nati in Italia o arrivati in Italia prima dei 12 anni che abbiano frequentato un percorso formativo nel nostro Paese».
Il muro dell’incomunicabilità tra le generazioni
Altro apparente paradosso: il dissenso delle nuove generazioni verso le precedenti è altissimo, ma non si esprime attraverso quel conflitto di idee e valori che in passato, come negli anni ’70, hanno fatto la storia: «La distanza esistenziale dei giovani di oggi dalle generazioni che li hanno preceduti sembra abissale. I 18-34enni sono poco più di 10 milioni, pari al 17,5% della popolazione totale, mentre nel 2003 superavano i 13 milioni, pari al 23,0% della popolazione: in vent’anni abbiamo perso quasi 3 milioni di giovani. E le previsioni per il futuro sono fortemente negative: nel 2050 i 18-34enni saranno poco più di 8 milioni, appena il 15,2% della popolazione. I giovani sono pochi, esprimono un leggero peso demografico, quindi inesorabilmente contano poco. Ad esempio, solo l’11,1% dei 7.786 sindaci attualmente in carica (860 in tutto) ha al massimo 40 anni. E la grande maggioranza degli italiani riconosce che i giovani, in questo momento, sono la generazione più penalizzata di tutte: lo pensa il 57,3%, mentre il 30,8% considera danneggiato soprattutto chi oggi si trova nell’età di mezzo e l’11,9% pensa invece che siano lasciati indietro soprattutto gli anziani».
In Paese in fuga
«L’Italia continua a essere un Paese di emigrazione (sono più di 5,9 milioni gli italiani attualmente residenti all’estero, pari al 10,1% dei residenti in Italia), più che di immigrazione (sono 5 milioni gli stranieri residenti nel nostro Paese, pari all’8,6% dei residenti in Italia). Gli italiani che si sono stabiliti all’estero sono aumentati del 36,7% negli ultimi dieci anni (ovvero quasi 1,6 milioni in più). A caratterizzare i flussi centrifughi più recenti è l’aumento significativo della componente giovanile. Nell’ultimo anno gli espatriati sono stati 82.014, di cui il 44,0% tra 18 e 34 anni (36.125 giovani). Con i minori al seguito delle loro famiglie (13.447) si sfiorano le 50.000 unità: il 60,4% di tutti gli espatriati nell’ultimo anno. Anche il peso dei laureati sugli expat 25-34enni è aumentato significativamente, passando dal 33,3% del 2018 al 45,7% del 2021. Un drenaggio di competenze che non è inquadrabile nello scenario di per sé positivo e auspicabile della circolazione dei talenti, considerato che il saldo migratorio dei laureati appare costantemente negativo per il nostro Paese».
Non è un Paese per giovani
«Gli anziani di domani, tra nuove solitudini e antichi patrimoni. Gli anziani rappresentano oggi il 24,1% della popolazione complessiva e nel 2050 saranno 4,6 milioni in più: raggiungeranno un peso del 34,5% sul totale della popolazione. Gli anziani di domani saranno sempre più senza figli e sempre più soli. Il numero medio dei componenti delle famiglie scenderà da 2,31 nel 2023 a 2,15 nel 2040. Le coppie con figli diminuiranno fino a rappresentare nel 2040 solo il 25,8% del totale, mentre le famiglie unipersonali aumenteranno fino a 9,7 milioni (il 37,0% del totale). Di queste, quelle costituite da anziani diventeranno nel 2040 quasi il 60% (5,6 milioni). Nel 2021 gli anziani con gravi limitazioni funzionali erano 1,9 milioni: il 13,7% del totale degli anziani e il 63,1% del totale delle persone con limitazioni in Italia. Secondo le stime, nel 2040 il 10,3% degli anziani continuerà ad avere problemi di disabilità. Rimane quindi sul tappeto la questione ineludibile del bisogno assistenziale legato agli effetti epidemiologici dell’invecchiamento demografico».