Popolo di assistiti

In Calabria (e nel Sud) più pensionati che occupati: ecco i numeri di uno squilibrio che può abbattere sanità e welfare

I dati nelle province in uno studio della Cgia: situazione compromessa a Reggio ma il saldo è negativo in tutta la regione. Le soluzioni: far emergere il lavoro nero e migliorare le politiche per le famiglie altrimenti sarà un disastro

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di Redazione Economia
24 agosto 2024
09:43

Un popolo di assistiti: nel Sud le pensioni superano gli stipendi. La bilancia pende decisamente verso le prime: la differenza dice un milione e 94mila assegni in più. Altro segnale del divario Nord-Sud? Ancora per poco, nel giro di qualche anno il sorpasso è destinato a compiersi anche nel resto del Paese. 

La Calabria contribuisce allo squilibrio: 755mila pensionati contro 529mila occupati, 226 mila in più. È il secondo dato peggiore in Italia (in Sicilia la differenza tocca quota 303mila) ma è distribuito su un numero minore di abitanti. La densità dell’assistenza, dunque, è altissima. Non è un caso che le province calabresi si trovino sul fondo della classifica. Lo studio, realizzato dall’Ufficio studi della Cgia, utilizza dati dell’Inps e dell’Istat. 


Reggio Calabria tra le realtà più assistite in Italia

Dall’analisi del saldo tra il numero di occupati e le pensioni erogate nel 2022, la provincia più “squilibrata” d’Italia è Lecce: la differenza è pari a -97mila. Seguono Napoli con -92mila, Messina con -87mila, Reggio Calabria con -85mila e Palermo con -74mila. Va segnalato che l’elevato numero di assegni erogati nel Sud e nelle Isole non è ascrivibile alla eccessiva presenza delle pensioni di vecchiaia/anticipate, ma, invece, all’elevata diffusione dei trattamenti sociali o di inabilità. Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da quattro fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, il progressivo invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione molto inferiore alla media Ue e la presenza di troppi lavoratori irregolari. La combinazione di questi fattori ha ridotto progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossato la platea dei percettori di welfare.  Un problema che non riguarda solo l’Italia; purtroppo, attanaglia tutti i principali paesi del mondo occidentale.

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Più pensioni che stipendi, i dati delle altre province calabresi

Se Reggio Calabria è indicata dalla Cgia come una delle province in cui il fenomeno è più preoccupante, Cosenza segue a ruota: lo squilibrio nella provincia bruzia è pari a -73mila. Dati meno vistosi per le altre province, anche se il trend è confermato: seguono Catanzaro con -30mila, Crotone con -21mila e Vibo Valentia con -18mila. 

All’altro capo della classifica si trovano quasi esclusivamente realtà settentrionali. La prima è Milano con +342mila, al secondo posto Roma (la Capitale è un’eccezione sulla quale ovviamente incide la presenza degli uffici centrali dello Stato) con +326mila e a seguire Brescia, Bergamo, Bolzano, Verona, Firenze, Monza e Brianza, Padova, Vicenza. La prima provincia meridionale che si incontra in classifica è Ragusa, al 31esimo posto con 8mila occupati in più rispetto ai pensionati. È, peraltro, l’unica del Mezzogiorno con un saldo positivo. 

Secondo alcune previsioni, entro il 2028 sono destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età 2,9 milioni di italiani, di cui 2,1 milioni sono attualmente occupati nelle regioni centro-settentrionali. 

È evidente, visto la grave crisi demografica in atto, che difficilmente riusciremo a rimpiazzare tutti questi lavoratori che non saranno più tenuti a timbrare il cartellino ogni giorno. Insomma, gli assegni erogati dall’Inps sono destinati a superare le buste paga degli operai e degli impiegati occupati nelle nostre fabbriche e nei nostri uffici, anche nelle ripartizioni geografiche del Centro e del Nord, mettendo così a rischio la sostenibilità economica del nostro sistema sanitario e previdenziale. 

Situazione squilibrata anche in 11 province del Nord

Nei prossimi anni la situazione è prevista in netto peggioramento in tutto il Paese, anche nelle zone più avanzate economicamente. Tuttavia, già oggi ci sono 11 province settentrionali che al pari della quasi totalità di quelle meridionali registrano un numero di pensioni erogate superiore alle buste paga corrisposte dagli imprenditori ai propri collaboratori. Esse sono: Sondrio (saldo pari a -1.000), Gorizia (-2mila), Imperia (-4mila), La Spezia (-6mila), Vercelli (-8mila), Rovigo (-9mila), Savona (-12mila), Biella (-13mila), Alessandria (-13mila), Ferrara (-15mila) e Genova (-20mila). Tutte le 4 province della Liguria presentano un risultato anticipato dal segno meno, mentre in Piemonte sono tre su otto. Delle 107 province d’Italia monitorate in questa analisi dell’Ufficio studi della Cgia, solo 47 presentano un saldo positivo.

Cosa fare: iniziamo a far emergere il lavoro nero

Con sempre meno giovani e sempre più pensionati il trend può essere invertito in tempi medio-lunghi solo allargando la base occupazionale. Come? Innanzitutto portando a galla una buona parte dei lavoratori in “nero” presenti nel Paese. Stiamo parlando di coloro che svolgono un’attività lavorativa irregolare che, secondo l’Istat, ammontano a circa 3 milioni di persone che ogni giorno si recano nei campi, nei cantieri, nelle fabbriche o nelle abitazioni degli italiani a svolgere la propria attività lavorativa senza rispettare le norme fiscali, contributive, assicurative, contrattuali, etc.  

È altresì necessario incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, visto che siamo fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile (pari al 50 per cento circa). Inoltre, bisogna rafforzare le politiche che incentivano la crescita demografica (aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori, etc.) e allungare la vita lavorativa delle persone (almeno di quelle che svolgono un’attività impiegatizia o intellettuale). Se non faremo tutto ciò in tempi relativamente brevi, fra qualche decennio i bilanci della nostra sanità e della previdenza rischiano di implodere.

Con più anziani vantaggi solo per le banche

Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici e a mantenere i livelli di ricchezza sin qui raggiunti; in particolar modo a causa dell’aumento della spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e di assistenza alle persone. Va altresì segnalato che con una presenza di over 65 molto diffusa, alcuni importanti settori economici potrebbero subire dei contraccolpi negativi. Con una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione giovane, una società costituita prevalentemente da anziani rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo (HoReCa). Per contro, invece, le banche potrebbero contare su alcuni effetti positivi; con una maggiore predisposizione al risparmio, le persone più anziane dovrebbero aumentare la dimensione economica dei propri depositi, suscitando la contentezza degli istituti di credito. 

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