VIDEO |Viaggio tra le banchine e le storie della seconda darsena più grande della Calabria. Dove nonostante si produca una parte considerevole dell’economia della Sibaritide il degrado regna sovrano e dove i pescatori per poter fare manutenzione alle loro barche devono raggiungere l'Abruzzo, la Puglia o la Sicilia
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Oltre quaranta imbarcazioni per la pesca industriale, quattro banchine commerciali, un mercato del pesce, più di mille posti di lavoro ed un volume d’affari, solo per il comparto ittico, di almeno 30 milioni di euro l’anno (fonte cooperative pesca). Questo è il porto peschereccio di Schiavonea, il secondo scalo marittimo della Calabria (per grandezza) dopo Gioia Tauro, fulcro dell’economia e leva commerciale della nuova città di Corigliano-Rossano.
Un centro di sviluppo strategico, insomma, che visti i risultati prodotti a pensarlo dovrebbe essere un gioiello. E invece, basta arrivare nei pressi del porto per capire che ci sono un sacco di cose che non vanno; tante cose da mettere a posto; un’infinità di disagi che si ripetono in modo perpetuo dal 1958 ad oggi per “problemi” che a sentire gli addetti ai lavori potrebbero essere risolti in un batter d’occhio.
Mancano i servizi primari
Parliamo di quell’area di porto che riguarda solo il mondo della pesca. Qui mancano i servizi primari. La spazzatura prodotta sulle imbarcazioni e quella raccolta in mare (perché i pescatori fanno anche questo) i marinari, per smaltirla, se la portano a casa. D’inverno, quando fa buio presto, il trasbordo del pesce dalle navi ai furgoni avviene al buio o tutt’al più alla luce delle lampade di auto e pescherecci e questo perché le torri faro funzionano (quando funzionano!) a macchia di leopardo. L’acqua potabile per rifornire i motopesca, l’equipaggio se la porta a bordo con i bidoni perché negli stalli d’attracco non ci sono le condotte di carico e scarico che oggigiorno le trovi anche nel più sperduto dei porti del mondo.
Si vive di mare
Qui no, «a Schiavonea si vive all’antica» ci dice un marinaio appena rientrato da una battuta di pesca. Che poi racconta un altro “curioso” aneddoto: «Sapete cosa accade di notte? Quando arriviamo con la barca all’imboccatura del porto, spesso ci facciamo il segno di croce perché abbiamo paura di finire contro il braccio d’ingresso». E questo perché le lampade dei fari sono così vecchie e consumate che si illuminano appena. «Uno di noi si mette a prua – dice - e con i fari d’imbarcazione si fa strada nel buio. Sperando che vada tutto bene!».
Manutenzione zero e disagi a gogo
Insomma, manutenzione zero e disagi a gogo. Nonostante tutto si continua a lavorare perché «il mare chiama e per noi è l’unica fonte di guadagno per mandare avanti le nostre famiglie». A Schiavonea, la più grande frazione di Corigliano-Rossano, quasi tutti vivono con quello che offre il mare e nessuno può permettersi di tirarsi indietro.
Ma al netto dei disservizi quotidiani c’è una cosa, più di tutte, che fa incazzare i pescatori; una cosa che proprio non accettano, che quando ne parlano – loro che alla fine sono sempre sorridenti e scherzosi – gli fa calare il velo nero sul volto: «Il nostro vero problema – ci dice Francesco Martilotti, comandante della nave “Grecale” – è quella cosa lì». Si gira e fa segno ad una struttura immensa che sta al di là di quattro banchine, rispetto a lui, sulla sponda sud-ovest del porto: un grande capannone con vicino delle gru trasportatrici.
Stazione di alaggio e varo
È la stazione di alaggio e varo. Una mega infrastruttura - incompiuta - realizzata all’incirca quindici anni fa con un finanziamento regionale e mai entrata in funzione. È costata quasi sette milioni di euro e nella sua storia è stata anche al centro di un’inchiesta giudiziaria che aveva focalizzato le attenzioni proprio sull’esosità dell’opera. Ma è stata anche emblema di un contenzioso sulla gestione, finito ancora a nulla.
Emigrare fuori regione
Tant’è che i pescatori del porto di Schiavonea per svolgere le attività di alaggio e varo delle loro imbarcazioni (una procedura che si deve compiere a cadenza di tempo per verificare la stabilità delle navi, un po’ come avviene con il collaudo della auto) sono costretti a viaggi per mare infiniti. «Quando va bene – è ancora il comandante Martilotti che parla – andiamo a Cariati ma il più delle volte siamo costretti a rinunciare a settimane di lavoro per sbarcare nei porti dell’adriatico come Giulianova o addirittura sulla costa orientale siciliana». Insomma, un assurdo.
Il paradosso
«È paradossale – aggiunge Ignazio Gentile, presidente delle cooperative dei pescatori “La Bussola” e “Sibari pesca” – che la più grande marineria peschereccia dello Jonio e la seconda più importante dell’intero bacino del Mediterraneo debba emigrare altrove per un servizio basilare. Eppure ci troviamo in un porto con potenzialità enormi. Anzi, ci troviamo in un porto che potenzialmente ha tutti i servizi ma che non riesce a metterli a regime».
Nessuno sa perché la struttura è ferma
Ed il mistero si infittisce quando chiediamo perché quella stazione di alaggio e varo, che a vederla da fuori sembra pronta all’uso, non parte. «Nessuno – ci dicono i pescatori – ha mai saputo dirci il perché. Nessuno. Né l’Autorità portuale né il Comune. Sappiamo solo – racconta Gentile - che il giorno del collaudo, mentre trainavano un’imbarcazione dalla darsena, i macchinari hanno distrutto parte dello zoccolo della banchina di alaggio». Ovviamente un danno che mai nessuno ha riparato.
Ma c’è di più, qualche anno fa, nel 2013, proprio nella darsena del porto di Schiavonea si verificò l’affondamento del motopeschereccio SS Achiropita, che poi – impropriamente – venne ribattezzato la “Concordia calabrese”. «Probabilmente – precisa il presidente Gentile – se quella stazione di alaggio e varo avesse funzionato, l’affondamento del peschereccio non si sarebbe mai verificato. E invece, si è persa una delle navi più grandi della nostra marineria e con essa il lavoro di un giovane equipaggio di dieci persone».
Misteri su misteri: e la banchina crocieristica?
Insomma, misteri su misteri che aleggiano attorno al grande porto di Corigliano-Rossano dove mancano tutti i servizi primari e dove – tra le altre cose - ancora si attende la realizzazione di una nuova banchina crocieristica i cui finanziamenti si sarebbero fermati all’autorità portuale di Gioia Tauro.