Via libera definitivo dalla Camera al Decreto Sud. Il semaforo verde è arrivato ieri mattina dopo le dichiarazioni di voto dei vari gruppi parlamentari e al termine di un dibattito molto acceso anche perché le opposizioni, nei loro interventi, hanno spesso spaziato sull’imminente manovra di bilancio.

L’esito comunque era scontato visto che il Governo aveva già lunedì posto la fiducia sul Decreto (facendo così cadere tutti gli emendamenti) che è passato con 184 voti a favore, 106 contrari e 2 astenuti. Se il finale era scontato, non così il dibattito.

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Le minoranze hanno criticato duramente il Decreto Sud definendolo una sorta di tomba per il Meridione. Secondo Marco Grimaldi (Alleanza Verdi Sinistra) con questo decreto appare in maniera plastica l’idea di Stato di questo Governo che regala l’autonomia differenziata al Nord e commissaria il Sud. Sì perché il cuore del Decreto è soprattutto l’istituzione della Zes unica per tutto il Mezzogiorno. Un provvedimento che le opposizioni non condividono affatto.

Mara Carfagna (ItaliaViva-Azione) riassume in tre punti la contrarietà del suo partito. Il primo riguarda la copertura finanziaria, ritenuta assolutamente insufficiente. La sola Zes della Campania, secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, ha prodotto in un anno crediti d’imposta per 1,4 miliardi di euro. Il governo per il 2024 stanzia 1 miliardo e ottocento milioni.

Il secondo punto riguarda cosa si potrà fare in questa macroarea, chi potrà accedere alle agevolazioni. Per la Carfagna qui tutto è fumoso essendo poi demandato ad un piano strategico nazionale individuare i settori di intervento che saranno differenti da regione a regione.

Terzo punto è la governance che rischia di creare un imbuto. Una sola struttura centrale dovrà dare risposte celeri a tutte le richieste di autorizzazione, ai vari procedimenti amministrativi. Gli imprenditori che vorranno investire, ha detto la Carfagna, non possono più rivolgersi alle strutture del territorio ma inviare una Pec a Roma sperando che qualche funzionario del Ministero si degni di rispondere. Per l’esponente di Italia Viva tutto questo sta creando confusione negli investitori che hanno di fatto bloccato la programmazione dei loro investimenti.

Ai rilievi della Carfagna ha aggiunto il carico Daniela Torto (M5s) con un intervento molto colorito in cui ha sparato ad alzo zero contro il provvedimento che ucciderà il Sud - ha detto - e in particolare le piccole e medie imprese locali. Per la grillina la nuova filosofia della Zes premia prima i grandi colossi industriali, poi le start up più innovative ed infine, se resta qualcosa, tutti gli altri.

Questo concetto lo ha chiarito meglio Marco Sarracino del Pd che ha definito il provvedimento «pura propaganda che genera illusioni». L’esponente dem ha definito irrazionale la soglia dei 200mila euro come investimento minimo e ha ricordato come il commissario della Zes Abruzzo abbia dichiarato in commissione Bilancio che il 90% degli interventi che si sono registrati in quell’area erano appunto sotto la soglia dei 200mila euro. Ma per Sarracino il decreto non va bene nemmeno per le grandi imprese che chiedono programmazioni pluriennali mentre il Governo ha stanziato i soldi solo per il 2024, lasciando una incognita sul futuro.  «Questo decreto - ha detto poi - è l’emblema di come agisce la destra quando è in difficoltà ovvero cerca un nemico. Che c’entrano con il Mezzogiorno due articoli contenuti in questo decreto, il primo che allarga a 18 mesi la possibilità di trattenimento nei Cpr e il secondo che qualifica i Cpr come siti di interesse nazionale. Che c’entra tutto questo con il Sud?»

Naturalmente la maggioranza ha respinto al mittente tutti questi rilievi. Per loro il punto di partenza è che le otto Zes finora non hanno funzionato. Lo dice Mauro Dattis (Fi) quando sottolinea come lo strumento, varato nel 2017, è entrato davvero in funzione solo nel 2022. Allora per Forza Italia il decreto è un passo in avanti verso lo sviluppo del Mezzogiorno, ma soprattutto è un provvedimento straordinario perché istituisce l’area Zes più grande d’Europa.

Nessun problema, ha detto poi Dattis, sulla copertura. «Se dovessimo tornare in aula da qui a qualche mese per una variazione di bilancio in aumento vorrà dire che ci abbiamo visto giusto». L’ultima parte del suo intervento Dattis lo dedica alle classi dirigenti meridionali che oggi devono assumersi le loro responsabilità «C’è chi lo fa - ha detto Dattis - come le posizioni lungimiranti del nostro Roberto Occhiuto sull’autonomia differenziata o le scelte coraggiose di Bardi in Basilicata sul gas. Altri invece dimostrano una scarsa capacità come testimonia la difficoltà a spendere i fondi. Allora il decreto vuole, ad esempio, togliere a un commissario il potere di decidere quale particella di quale comune rientra nella Zes; obbliga le istituzioni con gli accordi per la Coesione a rispondere maggiormente del loro operato, pone tutti di fronte alle proprie responsabilità».

Discorso molto simile ha fatto Andrea Barabotti (Lega) che in verità si è concentrato più sui problemi dell’immigrazione e Maria Carolina Varchi (FdI). Questa ha sottolineato come le otto Zes in questi anni abbiano prodotto solo 121 nuove autorizzazioni di cui solo 70 legate a nuovi insediamenti. «È evidente che qualcosa non ha funzionato non solo sulla Zes ma nell’utilizzo generale delle risorse messe a disposizione ed è questa la principale responsabilità che la politica deve assumersi verso il Sud». Per la Varchi con questo Decreto per la prima volta si cerca di individuare soluzioni strutturali per il Sud «e non soluzioni tampone che hanno visto come unico argomento per il Mezzogiorno il più grande voto di scambio che sia mai stato perpetrato. Noi abbiamo un pensiero meridiano, vogliamo uscire fuori dal paradigma che vede il Sud o come un Paradiso turistico o un inferno mafioso».

Non c’è più tempo però per il dibattito, si passa ai voti con l’esito scontato di cui abbiamo parlato prima. Adesso il testo verrà inviato al Senato. Si deve approvare entro il 18 novembre.