Il neonato “Coordinamento Agricoltori e Pescatori italiani”, con oltre trenta gruppi di categoria, in attesa che il resto di Italia si aggiunga alle file, nella giornata di ieri ha organizzato una manifestazione a Piazza del Campidoglio, a Roma.

«Voi ci chiedete tempo, ma noi tempo non ne abbiamo più». Questo lo slogan che ha accompagnato tutta la manifestazione dall’inizio alla fine. Uomini, donne e giovani scesi in piazza per difendere il lavoro che da oltre 4/5 generazioni hanno ereditato dalle loro famiglie. Sulla scalinata laterale alla piazza, 15 rappresentanti di categoria hanno parlato alla folla intervenuta da ogni dove di Italia.

In questo nuovo gruppo di coordinamento ognuno porta la propria esperienza e può dire la sua, condividendo le difficoltà e formulando ipotetiche soluzioni. Le previsioni di chi vive il problema sono catastrofiche, non si può più aspettare.

Nella piazza centinaia di manifestanti arrivati con la voce piena di rabbia, provata, commossa e determinata a chiedere fatti concreti e non parole. Tra i presenti, quella che è ormai diventata la mascotte del movimento, la mucca “Ercolina” che sin dall’inizio della protesta è stata il simbolo di questa lotta impari tra uomini, multinazionali e poteri forti. Il presidio Nomentano non è mai stato chiuso, ma nei prossimi giorni si sposterà a Torre in Pietra, dove sarà accolto dagli agricoltori del Lazio. Spostamento che avverrà per motivi logistici, perché il terreno messo a disposizione a breve dovrà essere coltivato.

La folla mormora: «Siamo solo all’inizio, perché non c’è più tempo e chiediamo a tutta Italia di manifestare. Non abbiamo il tempo di arrivare al prossimo Green Deal». A detta dei presenti, tutti concordi nelle dichiarazioni, le associazioni di categoria (riferendosi ai sindacati) avrebbero perso: se si è creato questo movimento è proprio perché le stesse avrebbero fallito e tradito chi in loro aveva riposto le proprie speranze.

Angelo di Stefano, imprenditore agricolo siciliano urla dal pulpito: «Non c'è più tempo, parlano i fatti. Quest'anno è stato ampliato l'accordo tra Egitto e Turchia con il porto di Trieste per portare 435 camion di ortofrutta alla volta. Questa è la verità, quando abbiamo la Turchia e l'Egitto che dal 2020 al 2022 nell'importazione hanno avuto 1189 segnalazioni per aver usato prodotti da noi vietati. È stato appena fatto un accordo tra Kenya e Cile, ci state uccidendo».

«Parliamo del Marocco e delle fragole provenienti da lì per cui anche la Spagna si sta lamentando – continua –. Dall'inizio della loro vendita, quest'anno in Italia, ad oggi 45 segnalazioni per Epatite A. Bisogna imparare a guardare da dove viene il cibo. Al Governo si chiedono controlli appena vi è lo sbarco ai porti, perché ci stanno facendo mangiare veleno e noi produciamo per non vendere. I controlli che dovrebbero essere severi vanno dall'1 al 5% in maniera casuale. A noi chiedete l'impossibile dando a loro tutto, questa è la verità».

Le categorie chiedono dei prezzi all’entrata se non si vogliono mettere i dazi, questo salverebbe un minimo le aziende che rischiano di chiudere per una concorrenza sleale Ue ed extra Ue. Dicono: «Non si possono vendere, al mercato all'ingrosso, le arance a 70 centesimi se ce ne vogliono 50 solo tra imballaggio, trasporto e lavorazione». Sulle accise del gasolio chiedono invece un intervento immediato, non dipendendo da decisioni europee.

Uno dei fondatori dell’ex “Riscatto Agricolo” che ad oggi è diventato “Agricoltori Italiani”, Salvatore Fais, ha ringraziato i colleghi di Torre in Pietra sottolineando però come dopo più di un mese di protesta i risultati stiano a zero. «Il Governo ha perso tempo e noi non siamo qui a perdere tempo, come alcuni dicono. C’è qualche associazione di categoria che a tutt’oggi fa riunioni parlando di noi, solo perché abbiamo iniziato a riunire le persone a livello nazionale. Lasciamo da parte chi sta cercando di dividerci. Noi non siamo qui per fare tessere, siamo qui per portare avanti tutti insieme una lotta comune e il risultato a casa».

Infuocato e accorato l’intervento di Gregorio Carello dell’associazione di categoria dei pescatori, calabrese di Montepaone, che urla con tutto il fiato che ha in gola. Non vuole perdere il suo lavoro, vuole poter pescare il gambero rosso e non vuole dover bruciare il suo peschereccio di 30 metri in un falò: «Dovete scendere in piazza e guardare ai problemi di tutto il popolo che vuole lavorare. Noi non vogliamo essere mantenuti né dalla Comunità Europea né da voi. Abbiamo una dignità. Serve un colpo di reni. Il problema non è solo degli agricoltori, dei pescatori, ma anche dei consumatori e lo dobbiamo capire tutti quanti. Parlatene quando rientrate a casa».

Così pure Matteo Talarico, agricoltore calabrese di Lamezia che si trova al presidio dall’inizio della protesta e dice: «Per me la vittoria è anche questa, essere riusciti a riunire tutta l’Italia. Abbiamo creato dei rapporti umani ineguagliabili. Un sodalizio vero e proprio – e lo dice tra gli abbracci degli amici emiliani con i quali si prende scherzosamente in giro –. La Calabria e tutte le altre regioni devono mostrare di essere unite. Quindi non abbandoniamo le manifestazioni. I presidi ricominceranno a breve in tutte le regioni. Che questo sia chiaro a tutti e al Governo. Questa volta abbiamo un punto di forza, siamo tutti uniti e collegati e le azioni saranno coordinate negli stessi giorni in tutta Italia».

Alla fine ritornano tutti al presidio, non senza creare disagio alla circolazione. Balle di fieno bruciate e manifestanti sulla strada. Una protesta meno silenziosa, forse più fastidiosa. Nessuno scontro con le forze dell’ordine, perché l’obiettivo non è fare la guerra ma manifestare il dissenso e fare presenti le difficoltà. Un piccolo caos per dire: «Noi ci siamo e bisogna che ci si renda conto che esistiamo. Abbiamo urgenza di portare a casa il risultato. D’altronde non c’è più tempo». Come un anatema lanciato nell’aria alcuni di loro aggiungono: «Arriverà il tempo che non taglieranno più niente e ottobre e novembre sono vicini».