Al multisala Lumiere il regista ha incontrato il pubblico dopo la proiezione del docufilm candidato al David di Donatello e ai Nastro d’argento. Con lui anche il restauratore Nuccio Schepis
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«Quando due fratelli combattono l'uno contro l'altro, nessuno vince. Tutti e due moriranno», questo il monito che ci perviene da un tempo remoto che si spinge fino a 2500 anni fa e che da mezzo secolo risuona attraverso i Bronzi di Riace riemersi dal mare ionico in Calabria nel Reggino. «Immagina di essere ad Argo mentre Eteocle e Polinice si guardano pronti a scontrarsi. Polinice, bronzo A, giovane rabbioso e potente, e il bronzo B, più maturo senza riccioli e consapevole dell'epilogo mortale dello scontro».
Così il professore Daniele Castrizio trasporta con il racconto e la suggestione nella Grecia del V secolo a.C, la giovane Carlotta che a Riace vive con la sua famiglia. Anche lei, come gli altri protagonisti di questo mosaico di stupore, si mostra estatica nel mirare le due statue che rievocano la tragedia "Sette contro Tebe" di Eschilo. In essa si narra della guerra fratricida tra Eteocle e Polinice, figli di Edipo. Sono proprio i Bronzi di Riace, tutto quello che rappresentano e che evocano i Semidei al centro del docufilm da qualche giorno arrivato nella sale in Italia. Alla proiezione al multisala Lumiere di Reggio Calabria oggi hanno partecipato uno dei registi, il reggino Fabio Mollo, e il restauratore Nuccio Schepis.
Dopo la proiezione, ha avuto luogo un incontro con il pubblico.
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Una lettera d’amore alla Calabria
«Un grande onore ma anche una grande responsabilità realizzare un film sui Bronzi da ragazzo del Gebbione. Mi sono chiesto come avrei potuto fare. La riflessione - racconta Fabio Mollo regista con Alessandra Cataleta di Semidei - che con gli altri sceneggiatori ho fatto mi ha condotto a chiedermi come poter raccontare il loro passato glorioso seppure tragico, come radicarlo nel presente e come proiettarlo nel futuro. È possibile immaginare il futuro guardando due statue di 2500 anni fa? L’arte, che sopravvive al tempo, lo rende possibile. Così attraverso un racconto inedito di immagini girate dentro la sala al museo abbiamo esaltato ogni dettaglio: la pelle, gli occhi, i muscoli dei Bronzi. Il valore del nostro lavoro non è stato solo quello di valorizzare il pregio artistico ma soprattutto quello di sottolineare la loro vitalità per vincere il freddo del bronzo e l’immobilità dell’essere statue e renderli carne viva e parlante - il titolo in inglese è infatti “Flesh and Bronze” - carne portatrice di un messaggio che non vogliamo ancora ascoltare: le guerre portano morte e basta. I Bronzi continueranno a testimoniarlo sempre anche quando noi non ci saremo più. Sono vivi, dunque. Abbiamo inteso per questo capovolgere lo sguardo e soffermarci sulle persone che guardano i bronzi, raccontando anche le loro storie di quotidianità piene di coraggio, di forza e di speranza. Questo lavoro è una lettera d’amore alla Calabria e alla sua gente.
Avevamo scritto ma anche una pagina teatrale, poi rimasta sulla carta, che avrebbe continuato a tessere quel fil rouge che abbiamo tracciato nel tempo dalla tragedia greca di Eteocle e Polinice fino al set realizzato nella sala espositiva dei Bronzi al museo di Reggio. Lì dentro, immersi in una dimensione quasi magica continuiamo sempre a chiederci da dove questi tesori arrivino. Dall’antica Grecia, di cui anche questa terra e culla, ma forse non solo. Lì dentro nel gioco di sguardi, la loro storia è diventata la nostra storia. È diventata la storia in cui i Bronzi sono vivi e pieni di mistero. Persino la loro pelle richiama la nostra terra, le onde del mare, la sabbia, i calanchi. Sono convinto che siano arrivati da noi perché il popolo calabrese, non un altro, ne fosse custode, li accogliesse e maturasse un nuovo senso di identità e appartenenza, forse anche di restanza, per vincere i suoi mali, risollevarsi e andare avanti. Un messaggio di pace che ho percepito in modo forte e che ho cercato di raccontare con il linguaggio a me più familiare che è quello del cinema. Spero sia arrivato», ha concluso Fabio Mollo.
Restaurare e respirare
Appassionante è stato anche il racconto del restauratore Nuccio Schepis: «Sono stato a contatto con questi capolavori nel periodo del restauro a palazzo Campanella durato quattro anno dove arrivarono nel 2009. Nel 2013 furono riportati al museo. Un'emozione che mi ha tenuto sempre con l'attenzione verso di loro. Averli respirati per 4 anni e aver assistito al respiro del Bronzo A che siamo riusciti a liberare dalla materia che ancora resisteva dietro i denti da secoli è stata un’emozione indescrivibile che sempre mi porterò dentro, con il ricordo della straordinaria restauratrice Paola Donati che in questa occasione voglio ricordare. Restaurare un’opera equivale a stringere un legame indissolubile con essa. Sono stato onorato di averlo fatto con i Bronzi di Riace che sono vivi e misteriosi e così vanno custoditi. E il mistero continua».
Il docufilm
Il docufilm Semidei, in lizza per i David di Donatello e per i Nastri d'Argento, presentato in anteprima mondiale alla 21^ edizione delle Giornate degli autori in occasione del Festival di Venezia 2023 lo scorso settembre e proiettato al teatro Francesco Cilea lo scorso dicembre, è una produzione Palomar realizzata con il supporto della Regione Calabria dipartimento Istruzione, Formazione e Pari Opportunità e fondazione Calabria Film Commission.
Un racconto inedito e originale, un lavoro sperimentale, scandito da testimonianze e immagini dell'epoca, attinte dalle teche Rai e da archivi privati, e di oggi. Un’opera che racconta una storia che solo apparentemente parte dal ritrovamento dei due capolavori, avvenuto il 16 agosto 1972 nelle acque ioniche di Riace, nel reggino e che arriva fino a oggi e oltre.
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La sceneggiatura è di Armando Maria Trotta, Giuseppe Smorto, Massimo Razzi e dello stesso regista Fabio Mollo. Interpreti di loro stessi sono Antonio Alì e Domenico Campagna, Damiano Bevilacqua, Anzhela Brailo, Daniele Castrizio, Stefano Mariottini, Nuccio Schepis, Vincenz Brinkmann, Ludovico Rebaudo, Koichi Hada, Serna Epifani, Anzhela Brailo, Adele Cambria, Gaia Carlotta Ndoye.
Le radici nella storia di ieri e di oggi
Una narrazione inedita che su un filo emotivo e storico lega insieme storie e vite solo apparentemente indipendenti e tra loro lontane nel tempo. Storie che, invece, scoprono nell'incapacità dell'umanità di custodire quel monito contro la guerra, la ragione di un nesso profondo. Un nesso anche attraversa l'Africa, flagellata dalle guerre e dai conflitti all'origine delle migrazioni, e l'Europa nel cuore della quale due anni fa scoppiava la guerra in Ucraina. Proprio oggi ricorrono i due anni da quel tragico ingresso dei carri armati russi in Ucraina e tra due giorni sarà il primo anniversario della strage a Steccato di Cutro dove a seguito del naufragio di una imbarcazione in legno persero la vita 94 migranti, tra cui 34 bambini.
Queste pagine di storia prendono corpo, hanno voci e volti nel docufilm che da Riace e Roccella racconta pagine di accoglienza e integrazione che si sublimano nell'incontro, che va ben oltre il livello visivo, con i Bronzi di Riace, custoditi nel museo archeologico nazionale di Reggio Calabria. In quegli occhi rapiti passa tutto il senso di questo legame ancestrale tra i Bronzi di Riace, e ciò per cui sono stati plasmati, e la storia contemporanea e il mondo di oggi che non ha fatto tesoro, non ha colto la possibilità di salvezza in quella magnificenza senza tempo. Gli antichi ci parlano ancora, ci mettono in guardia ma noi non capiamo.
Il mistero e i misteri
Il rinvenimento delle statue si colloca in quei trent'anni che vanno dal 1960 al 1990 noti per la "grande razzia" di beni culturali trafugati e trafficati all'estero e anche in un momento storico in cui l'archeologia subacquea non era molto sviluppata. Subito dopo il ritrovamento non fu, infatti, eseguita alcuna ricognizione complessiva nello specchio di mare. Nessun relitto fu cercato. Nonostante ciò dei punti fermi sono stati raggiunti e nel docufilm sono affidati alla testimonianza di Daniele Castrizio, docente di Numismatica presso l' Università degli Studi di Messina che fin dal primo momento, in cui giovane 17 enne vide i Bronzi per la prima volta nel 1981 fu affetto da una sorta di sindrome di Stendhal che non gli consentì di distogliere cuore e mente.
La storia ritrovata
«Per ricostruire la storia dei bronzi noi ci possiamo avvalere delle cinque analisi archeometriche eseguite sulla terra fusione. Possiamo affermare che sono stati realizzati ad Argos e questa è la prima parte della storia. Poi i Bronzi arrivano a Roma, dove nel IV secolo d.C. scompaiono. L'ipotesi più probabile è che l'imperatore Costantino abbia voluto trasferire tutta la collezione imperiale da Roma a Costantinopoli ma la nave affonda nei pressi di Riace. Dalle tracce rilevati sulle statue dopo il ritrovamento, con esse a bordo della nave c'erano anfore e ceramiche di IV secolo d.C.. Nel gioco delle varie ipotesi, il tentativo di leggere i Bronzi iconograficamente ha, dunque, portato ad una conclusione. Le due statue sono talmente identiche dal punto di vista della misure che fanno parte di uno stesso gruppo scultoreo. Analizzando i vari gruppi scultorei del mondo antico, viste le caratteristiche, dobbiamo concludere che appartengano al gruppo dei Fratridici di Pitagora di Reggio.
Si tratta di un gruppo a cinque statue: ai lati Eteocle (Bronzo B) e Polinice (Bronzo A) e in mezzo la madre che, saputo dal vate Tiresia che in quella guerra tra i due figli entrambi sarebbero morti, cerca di impedire che combattano. Dunque questo gruppo scultoreo racchiude un messaggio forte - la guerra tra fratelli genera morte - concepito ad Argos ma assolutamente condiviso da Augusto che li sposta nel teatro di Pompeo dove fu ucciso Giulio Cesare e divenuto così simbolo della fine delle guerre civili e monito universale contro la guerra che porta solo la morte. È molto plausibile che la nave trasportasse anche altro e che le altre statue siano ancora sott'acqua».
Un mistero che non sarà mai completamente svelato e che avvolge anche il suo ritrovamento. Il docufilm mette in luce anche gli aspetti controversi legati alla paternità della scoperta ufficialmente attribuita a Stefano Mariottini ma di cui si sentono parte anche quattro giovanissimi di Riace Cosimo e Antonio Alì, Domenico Campagna e Giuseppe Sgrò. «La verità - dicono - resta là immersa a 150 metri dalla riva e 8 metri e mezzo di profondità».
«La vulgata riporta che già da febbraio del 1972 ci fossero voci, e solo qualche informativa dei carabinieri, che riferiva di pescatori che a strascico avrebbero trovato elmi, scudi, lance. Dunque qualcosa poteva essere stato sottratto e molto altro avrebbe potuto essere a bordo della nave affondata», così racconta ancora Daniele Castrizio.
Testimonianze, immagini e suggestioni
Ci sono le intense suggestioni e c'è la storia e i tanti interrogativi che ancora avvolgono il ritrovamento e non solo. Nel percorso a ritroso che il docufilm propone, vengono alla luce anche altri aspetti avvolti nel mistero. Ma allora non resta che provare a immaginare cosa fossero prima di diventare due statue in bronzo, prima di essere immortalati in questi capolavori straordinari. Si spinge a pensarlo il giovane rom di Gioia Tauro, Damiano, membro di una comunità devota a San Cosma e Damiano e che si reca a Riace per la tradizionale processione. Egli crede che ci sia qualcosa di sacro in quelle due opere, venute da epoche lontane e conservatesi in fondo al mare. Queste è un'altra testimonianza che scandisce la narrazione, sublimatasi poi nell'incontro con i Bronzi al museo. Ancora una volta negli occhi stupiti di chi le guarda, esse prendono vita.
«Non credo sia causale che questi capolavori siano emersi in Calabria e che ciò sia accaduto nel 1972. Credo che allora come oggi, nel cinquantesimo anniversario del ritrovamento, loro abbiano ancora tanto, tutto da dirci». È proprio la voce fuori campo affidata allo stesso regista Fabio Mollo ad affermare questo. Una riflessione che si articola anche in immagini, richiamando le ferite della città di Reggio dopo i moti del Settanta e il sangue versato sulle strade con le guerre di 'ndrangheta in una terra dove i moniti, anche affidati a guerrieri bronzei preziosi e antichi, restano inascoltati e dove chi cerca di raccontare le guerra di oggi è in pericolo. Preziosa la testimonianza del giornalista Michele Albanese da anni sotto scorta.
Un'aurea avvolge da sempre i Bronzi di Riace che fin dal ritrovamento hanno destano l'interesse di storici e archeologici per la loro perfezione e per l'epicità di cui sono subito apparse pregne. A distanza di 2500 anni ancora c'è il desiderio di scoprire e di conoscere ma non, purtroppo, forse non ancora quello di ascoltare e di imparare.