«Il freddo, la fame, il senso di isolamento furono nemici crudeli e nelle notti in cui la natura scatenava le sue tempeste di neve e di vento, come a voler rivendicare il proprio predominio su ogni cosa, angosciose domande sollecitarono risposte sulla validità di una lotta che, in quelle condizioni, poteva apparire addirittura insensata. Ma ogni volta prevalse la convinzione di dover resistere, considerando quelle durissime prove, il collaudo necessario per affrontare, con spirito determinato, le altre più dure battaglie di primavera», scrive così nel volume autobiografico intitolato "Chiamatemi Abele" (Gangemi editore), Aldo Chiantella, classe 1925, che da Reggio Calabria partì per il Friuli Venezia Giulia nelle fila della Resistenza, subito dopo l'armistizio dell'8 settembre del 1943.

Aldo e Vittorio

Lo ha scritto e lo ha confermato lo scorso anno, in occasione delle celebrazioni del 25 aprile quando ha ricordato il dovere di ricordare quanti si sono battuti, perdendo anche la vita, nelle montagne per liberare l'Italia dall'occupazione nazifascista. «Anche io ho combattuto perché da cittadino era per me un dovere difendere i valori della Libertà e della Giustizia». Per sedici mesi, con il nome di battaglia Fieramosca, ispirato al cavaliere Ettore che difese l'onore degli italiani dalla tracotanza dei francesi in occasione della disfida di Barletta, combatté tra le montagne del Friuli fino all'incarcerazione avvenuta per mano tedesca nel febbraio del 1945. Nel carcere di Spilimbergo compì vent'anni per poi evadere in tempo per festeggiare la Liberazione, il 25 aprile 1945.

In Friuli, nelle fila della Brigata Garibaldi, militò con il nome di battaglia Gigi, Vittorio Calvari, anche lui un tenace testimone. Nato ad Udine da padre calabrese nel 1924, visse a Campo Calabro fino alla sua morte avvenuta nel 2016. Dopo averla fatta la Resistenza, alla scrittura di racconti e poesie aveva affidato il suo contributo anche alla Memoria di quella importante pagine storica. «(...) Ma il popolo unito ha fatto barriere al truce tiranno dall'anima nera e ardito s'è dato una legge diversa che parla ai fratelli con fede mai persa./ Sui monti, nel piano, nell'ampie città s'eleva possente per noi "libertà". È il grido degli avi del tempo passato che sgorga dal cuore del nuovo soldato./ Finita la guerra tra lutti e rovine, mettiamo al lavoro le nostre officine. La fine per sempre al fascismo è segnata: or dunque cantiamo: L'Italia è rinata», scrisse nella sua lirica 25 aprile 1945, pubblicata in "Racconti di guerra" (Il convivio edizioni, 2007). Negli ultimi anni della sua vita non nascondeva il suo disincanto e la sua delusione, nel guardare alla Democrazia nel nostro Paese, a quell'Italia secondo lui non rinata, come avrebbe dovuto e potuto, e al sacrificio suo e di tanti altri, il cui pensiero lo commuoveva sempre profondamente.

Nei luoghi della Resistenza il valore della Libertà

Non i luoghi ma le persone calabresi fecero la Resistenza e contribuirono grandemente alla causa di Liberazione dell’Italia dalla Repubblica Sociale. La villa comunale Umberto I di Reggio Calabria ne custodisce il segno. La stele del partigiano è impreziosita da una targa che propone il pensiero del giurista Piero Calamandrei. È costui ad invitare le nuove generazioni a visitare i luoghi della Resistenza per scoprire dove sia nata la Costituzione, dove sia partito il cammino di riscatto dalle guerre e di ricostruzione di un Paese ispirato agli ideali di Libertà e Democrazia. Un messaggio di Unità che in questi quasi ottant'anni (1945/2022) non smette di essere necessario.

Furono tante le storie scritte da partigiani partiti dalla terre di Calabria per combattere contro i nazifascisti. Nomi e storie che oggi sono patrimonio imprescindibile della grande Storia che custodiva in sé i semi del futuro e il senso di un’identità nazionale comune e forte. Alcuni sopravvissero alle rappresaglie, alle deportazioni nei campi di concentramento, alle incarcerazioni e alle torture e contribuirono poi alla costruzione di una Democrazia che resta da difendere ogni giorno, altri non ce la fecero e persero la vita combattendo nelle file della Resistenza in Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e nella Capitale. Qualcuno perse la vita lontano dal campo battaglia ma per difendere quelle stesse ragioni, come Marco Perpiglia, partigiano Pietro emigrato in Liguria, morto suicida nel 1983 nella sua Roccaforte del Greco, nel Reggino.

Anna e Ruggero

Tra i partigiani ancora viventi, che l'Anpi di Reggio Calabria in questi anni ha rintracciato, rendendo collettiva la loro testimonianza, i reggini Aldo Chiantella e Anna Condò, staffetta partigiana tra il Piemonte e la Liguria nella 3^ Brigata Garibaldi alla quale aveva deciso di aderire il fratello Ruggero. Costretta a emigrare al Nord con la famiglia dopo i bombardamenti degli Alleati e la sospensione dal lavoro dei genitori, non allineatisi alla Repubblica Sociale Italiana, anche lei come il fratello si sentì chiamare dalla Resistenza. Lei staffetta partigiana e suo fratello Ruggero partigiano, sopravvissuto alla strage della Benedicta, sull'Appennino Ligure nell'aprile del 1944, catturato, torturato, fu deportato poco dopo in un campo di concentramento tedesco dal quale non fece più ritorno. Anna Condò, nonostante gli acciacchi, è ancora oggi voce preziosa di due Resistenze troppo a lungo colpevolmente taciute, quella delle donne e quella dei calabresi.

Giuseppina e Marco

Tra le donne della Resistenza anche Giuseppina Russo, operaia nello jutificio Montecatini a La Spezia, dove era emigrata da Roccaforte del Greco a Reggio Calabria, con il marito Marco Perpiglia che era ebanista all'Arsenale. Attivista antifascista e partigiana nella brigata Gramsci, nella IV zona operativa Ligure di cui il marito Marco era ispettore di zona, era poi tornata in Calabria dove morì nel 1991. Suo marito Marco Perpiglia aveva combattuto anche in Spagna contro il regime di Franco e al rientro era stato accusato di propaganda, arrestato, perquisito e incriminato ad opera del Tribunale speciale della Spezia e condannato al confino nella colonia di Ventotene. Nell’agosto del 1943 il ritorno dall’amata Giuseppina alla Spezia e la scoperta della morte prematura del figlioletto a causa di un incidente. Il dolore era immenso e i tempi duri. Serviva una resistenza armata. Il Fascismo era caduto ma bisognava liberare l’Italia dall’occupazione nazista e così acquisì un ruolo di primo piano nella formazione dei giovani combattenti, divenendo uno dei promotori delComitato di Liberazione Nazionale Provinciale, prima, e della brigata garibaldina unitaria Cento Croci (frazione di Varese Ligure nella provincia spezzina, poi. Il nipote Carmelo Azzarà, autore del libro "La Spiga di Grano e il Sole" (Caruso edizioni 2018), è molto impegnato nel ricordare lo zio Marco e la zia Giuseppina e la loro storia.

Pasquale

Tra gli ultimi testimoni anche Pasquale Brancatisano di Samo, cittadina ionica nel Reggino, nome di battaglia Malerba, mancato lo scorso anno all'età di 99 anni, combattente nelle Langhe nella 16^ Brigata d'assalto Garibaldi poi confluita nella 99 ^ Brigata. A lui, scomparso solo da pochi mesi, è stato dedicato un imponente murales che campeggia in via Enna, nella zona di Sud di Reggio Calabria, realizzato da Daniele Geniale. Nell'aprile del 2020, in piena pandemia, era stato chiamato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «A Torino ero stato osannato come un eroe e avevo acquisito il diritto alla cittadinanza piemontese: se avessi voluto avrei potuto risiedere in Piemonte, ma Samo mi legava a lei come una madre ai suoi figli», ha raccontato nel libro di Mattia Milea "Dalla Calabria alle Langhe" (Disoblio edizioni 2016).