Una macchina del tempo alimentata dalla musica, forza propulsiva, gasolina cosmica in grado di spezzare gli argini di un reale un po’ infeltrito. Così è per lo strano caso di Valerio Scordìa che, a 38 anni, sembra avere tutto ma cammina con un bagaglio di rimpianti allacciato al collo. Una zavorra insopportabile e in un certo senso necessaria, riempita del metallo di amori ormai sbiaditi e di una ambizione ripiegata di fretta per essere sgualcita. Nicola H. Cosentino, scrittore e critico letterario calabrese, dipinge con tratto vivace il suo terzo romanzo, “Le tracce fantasma” (Minimum fax), dopo l’esordio nel 2016 con “Cristina d’ingiusta bellezza (Rubbettino) e il successo di “Vita e morte delle aragoste” (Voland) che gli è valso il Premio Brancati.

Cosentino traccia la rotta di una generazione nata col sole in fronte, così pareva, alla cui porta sono rimasti a macerare pacchi di promesse e rassicurazioni. Il futuro aveva altri programmi e il mezzogiorno s'è trasformato in un crepuscolo di ombre allungate. Diceva un vecchio film: potrebbe andare peggio, potrebbe piovere. Così è stato. La gran fiera delle illusioni dei troppo giovani per essere vecchi e dei troppo vecchi per essere giovani, si è inceppata, lasciando tutti sull’alto di una ruota panoramica esposta alle intemperie. Il protagonista del romanzo è un critico musicale, un tempo chitarrista. La nostalgia è un suo buon compagno di viaggio e la musica è una vanga che toglie terra dalla memoria. Un'opera di recupero che lo dovrebbe aiutare a capire cosa è rimasto indietro, perché e a cosa è servito vivere certi momenti che lo scorrere dell’esistenza, come certe musicassette, accumula sotto altri strati. “Good times for a change” cantavano gli Smiths implorando di avere ciò che si desidera prima che il malanimo si possa impossessare anche del migliore degli uomini. E nel romanzo, il valzer di alcuni addii lascia una traccia che si comprende solo alla fine.

Scrive Cosentino: «La ragazza di vent’anni che festeggia in mutande, al buio, un primo appuntamento inaspettatamente ben riuscito sparisce dettaglio dopo dettaglio – labbra socchiuse, piedi che decollano e riatterrano sopra i listelli del parquet, braccia tese verso il soffitto – e tu riapri gli occhi su un’altra camera da letto, in un altro tempo, in un’altra città; solo, e con un unico desiderio: tornare indietro, poterla toccare, sfilarle una cuffietta dall’orecchio e scoprire quale canzone le abbia fatto venire voglia di ballare, la notte in cui – te ne accorgi troppo tardi – tu non gliel’hai proposto».

La maternità di Anna, il vecchio amore di Valerio, fa da detonatore e chiude un cerchio su un tempo ormai irrecuperabile. Ora tutti sembrano aver trovato il proprio posto nel mondo: lei ha una figlia con un altro, il suo migliore amico è riuscito a sfondare come musicista. Lui è rimasto senza certezze, indietro a vagare nella propria inquietudine. Ed è in questo punto che la realtà viene interrotta da una componente di magia: grazie alla musica Scordìa inizia a fluttuare nei ricordi di Anna. Questo squarcio nello spaziotempo forse servirà a concludere certi sospesi o, semplicemente, a fare pace col nostro peggiore nemico: noi stessi.