La stanchezza occidentale che sfianca l’animo dei figli del Sud che ritrovano se stessi tra le montagne familiari. Il romanzo di Gioacchino Criaco (Rizzoli Lizzard) “L’ultimo drago d’Aspromonte” è una favola moderna, descritta visivamente dalle opere dell’artista Vincenzo Filosa, che ci trasporta in un universo di fantastico di cui l’Aspromonte è guardiano luminoso.

Dall'ombra alla luce. «Anche io sono stato un eremita»

Lo scrittore, ospite della seconda serata del Sila Film Fest, ha stregato il pubblico di Camigliatello con un racconto appassionato e struggente di un Aspromonte che una lingua pre-greca chiamava “ombra lucente”. «Aspromonte non vuol dire “aspro” come facevano intendere i latini, tutt’altro, il suo spirito accogliente e materno ha un senso completamente diverso, è luce che accoglie e scalda».

Come il protagonista del romanzo, Nì, che conosce la sofferenza di una civiltà in cui si sente alieno fra gli alieni, anche Criaco in passato è fuggito dalla moderna velocità di un mondo che alla lunga finisce per svuotarti. E per riempire quei buchi dell’anima, lo scrittore si è rifugiato da eremita nelle braccia del suo Aspromonte.

«C’è un momento in cui si dice: basta: Nì non ce la faceva più, io non ce la facevo più e allora ho cercato e trovato un nuovo modo di vivere attraverso l’isolamento per capire cosa volevo davvero. Di Nì ce ne sono tanti, molti insospettabili, persone di successo, risolte all'apparenza che invece nascondono un’enorme fragilità. Nì nasce e cresce nell’ambiente di un Occidente che macina le vite e porta tutti noi, a un certo punto dell’esistenza, a pagare il conto».

Un’esperienza di vita che ha attirato lo scrittore verso una nuova e forte consapevolezza che attinge dalle sue radici robuste che, nonostante la lontananza, restano piedi solidi a cui affidare il cammino.

L'antico taumaturgo ferito

Il bosco come luogo di catarsi, il bosco come rifugio taumaturgico che abbraccia e fascia le ferite, la tenerezza di una favola arcaica calata nell'oggi, sono i semi di un racconto intenso e pervasivo. La narrativa di Criaco ci porta in un luogo incantato dove gli animali parlano, le piante e i frutti dialogano e anche i ruscelli sussurrano.

L’Aspromonte, duramente ferito dagli incendi che quest’estate hanno danneggiato molti ettari di bosco millenario, per Criaco è una grande madre che veglia sui figli, traboccante di un amore che pulsa dal profondo della Terra e si irradia tutt’intorno. «Il nostro bosco è una fantasia della tradizione che finisce nella morale della favola, un mondo antico ma ultramoderno per gli elementi dello spirito che questa civiltà vuole distruggere, magari non per complotto ma per istinto. L’Aspromonte è l’ultima resistenza a una modernità che forse ci travolgerà».

Una cultura remota da riscoprire

La Chanson d’Aspremont, studiata all’estero, specie in Francia, scritta intorno alla prima metà del XII secolo, considerata tra le grandi opere della letteratura medievale, prologo della Canzone di Rolando e dei poemi Orlando innamorato e Orlando furioso, non è che un tassello di una cultura calabrese troppo spesso trascurata in patria. Criaco ha condiviso col pubblico un decennio di studi condotti per approfondire gli aspetti di una cultura immensa che «non rappresenta il passato ma il futuro, il nostro».