La riflessione dell’autrice calabrese in occasione della Giornata mondiale della poesia: «Scrivere aiuta a elaborare emozioni profonde, a dare voce a esperienze difficili e a riflettere sulla condizione umana»
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Si celebra oggi, 21 marzo, la Giornata mondiale della Poesia. È stata istituita dall'Unesco nel 1999: un modo per sottolineare l’importanza di un genere capace di regalare forti emozioni. Per l’occasione abbiamo sentito la poetessa calabrese Anna Lauria.
L’intervista
In un’epoca di guerra, ha ancora senso parlare di poesia?
«Esistono epoche senza guerre? L’unica possibilità per resistere è proprio ogni forma d’arte e letteratura, ogni linguaggio che consenta il dialogo. Sono i due estremi che coesistono, la risposta alla violenza, alla crudeltà della guerra è resistere. La poesia aiuta a elaborare emozioni profonde, a dare voce a esperienze difficili e a riflettere sulla condizione umana. In momenti di conflitto, la poesia può anche servire come strumento di resistenza, speranza e solidarietà. Attraverso le parole, i poeti elaborano la bellezza e il dolore della vita, offrendo conforto e ispirazione a chi vive in situazioni di crisi. Quindi, parlare di poesia in tempi di guerra è anche necessario. Inoltre può affrontare temi sociali, politici e personali, fungendo da strumento di cambiamento e consapevolezza. In questo modo, continua a essere una forma d'arte vitale e significativa, capace di ispirare e provocare pensiero critico. Una delle poesie più toccanti sulla guerra è Dulce et Decorum Est di Wilfred Owen, in cui descrive in modo crudo e realistico gli orrori della Prima Guerra Mondiale, mettendo in discussione l'idea romantica del sacrificio in nome della patria. Owen utilizza immagini potenti per trasmettere il dolore e la sofferenza dei soldati, rendendo evidente l'assurdità della guerra. E Primo Levi o Ungaretti che testimonianza immensa ci hanno lasciato».
"Abitare poeticamente un mondo miserabile è molto difficile, ma è fattibile”, scriveva Christian Bobin. Quindi possiamo far convivere odio, violenza, sopraffazione e poesia? E come?
«È una domanda complessa. Bobin ci invita a riflettere su come, nonostante le difficoltà e le ingiustizie del mondo, sia possibile trovare e coltivare la bellezza e la poesia nella vita quotidiana. Osserviamo gli accadimenti del mondo a volte inerti, altre indignati, ma se non opponessimo resistenza cosa ne sarebbe di noi? Far convivere odio, violenza e sopraffazione con la poesia non significa ignorare le realtà dolorose, ma piuttosto cercare di elevarsi sopra di esse. La poesia può fungere da strumento di resistenza e di speranza, permettendoci di esprimere le nostre emozioni, di riflettere sulle ingiustizie e di immaginare un futuro migliore. La lettura di una poesia non cambia il mondo ma la nostra vita anche soltanto un po’. Scrivere è nutrire un atto di fiducia verso il lettore. Infine scrivere poesia ci consente di restare umani».
In definitiva, abitare poeticamente un mondo miserabile richiede coraggio e impegno, ma è un percorso che può arricchire le nostre vite e quelle degli altri. Che ne pensi?
«La poesia è la fisicità dell’anima. Rappresenta in tutti i tempi e in tutti i luoghi un atto di ostilità più o meno aperta alla Storia. Un tentativo di evasione dalla condizione storica, la poesia è sempre la rappresentazione ideale di un sovramondo liberato dalle costrizioni sociali e dal malessere della civiltà. In questo senso, possiamo cercare la poesia nelle piccole cose: nella gentilezza, nella solidarietà, nella creatività. Anche nei momenti più bui, ci sono sprazzi di luce che possono ispirarci e darci forza. La chiave è mantenere viva la nostra sensibilità e la nostra capacità di sognare, anche quando il mondo intorno a noi sembra difficile».
Tra premi, riconoscimenti, apprezzamenti, il tuo instancabile impegno per la poesia, sei considerata una delle poetesse più amate di quest’epoca.
«Non mi definisco tale, mi piace precisare che, più che essere poeta, amo la poesia, l’incontro salvifico, il mio stare al mondo, il diaframma che mi separa e unisce all’universo. Senza poesia sentirei addosso la solitudine di questa vita. Scrivo per un’esigenza imperiosa che mi fa sopravvivere a tanta mediocrità del mio tempo. Un verso a volte mi accende come una scintilla, mi dà la forza di sperare che forse ancora possiamo cambiare».
I versi più belli di un altro autore che ti hanno particolarmente colpita?
«Partendo da Dante e Leopardi, il salto mi conduce inevitabilmente a Franco Costabile, ma i primi versi quelli che mi hanno stregata sono di Giancarlo Pontiggia, li ho talmente amati da inserirli in un’opera di poesia visiva:
Scrivi celato
fra i rametti del cuore; serba
doni umili, suoni
sussurranti come una preghiera; dì
quello che devi, custode
dei nomi e dei semi, nelle estati
che verranno
(e negli autunni piovosi, nelle ruggini
del tempo)
– resta
nella polvere di un noto
confine».
Invece i tuoi versi che rileggendoli ti hanno fatto esclamare: però, sono davvero belli!
«Non penso mai che lo siano. Mi emoziona leggere gli altri, mi emoziona scrivere. Non so giudicare i miei versi sono troppo coinvolta, ma riesco a dire spesso il contrario, ovvero che non mi piacciono, perciò li distruggo e riscrivo o limo, o incido, uso la penna come un bisturi».