Nel tardo pomeriggio clemente di un’estate ormai dietro le porte, il Premio Sila ’49 saluta il suo pubblico dal Chiostro della Galleria nazionale. Al di là dell’arco, il colle su cui si inerpica il centro storico, al di qua lo stendardo rosso di una manifestazione culturale che cresce senza invecchiare. «Non sono già dieci anni, ma soltanto dieci anni». Gemma Cestari, direttrice del Premio, sorride guardando la platea affollata. «La risposta della città è stata davvero straordinaria».

I premiati della decima edizione

Nicola Lagioia (sezione Letteratura), Nadeesha Uyangoda (sezione Economia e Società) e Luciana Castellina (premio alla Carriera), hanno ricevuto i bronzetti realizzati dal maestro Mimmo Paladino, e hanno dialogato sul palco con la giornalista e scrittrice Ritanna Armeni. «Sono dieci anni di Premio Sila, dieci anni trascorsi a fare cose straordinarie – ha detto il presidente della Fondazione Premio Sila Enzo Paolini -. Tutto ciò che è stato realizzato e che ci proponiamo di realizzare è accaduto e accadrà grazie alla vicinanza di moltissimi artisti e cittadini, i quali, insieme, hanno impreziosito le diverse edizioni susseguitesi. Se siamo qui – ha aggiunto – è perché fortemente consapevoli che le idee e le parole possono cambiare il mondo: il Premio vuole fare la sua parte per raggiungere questo obiettivo. Motivo per cui, tra le altre cose – ha concluso Paolini rivolgendosi al sindaco Franz Caruso seduto in platea -, con il presidente dell’Ordine degli avvocati di Cosenza Enzo Gallucci abbiamo proposto al Comune di nominare l’avvocato e scrittore Giuseppe Farina, che da anni si batte contro la Sla, responsabile dei diritti umani della città». Oggi a Camigliatello Silano con Valerio Magrelli, che leggerà alcune delle poesie tratte dalla sua ultima raccolta “Exfanzia” (Einaudi), calerà ufficialmente il sipario.

Luciana Castellina: «Dobbiamo fare la rivoluzione»

A Luciana Castellina è stato consegnato il premio alla carriera, o come lo ha definito la giornalista Ritanna Armeni, il «premio all’esistenza». «Se si sottovalutano i rischi andremo incontro a una guerra più ampia, mondiale e nucleare – ha detto a proposito del conflitto tra Russia e Ucraina -. Io ho fiducia solo in Papa Francesco, che continua a ripetere che non esistono guerre giuste, e nei generali, che attuano i negoziati. Chi lo avrebbe mai detto, oggi i miei rappresentanti politici sono i preti e appunto i generali».

Giornalista, scrittrice, una combattente. Luciana Castellina, Sinistra è una parola che ha senso ancora pronunciare a voce alta, esiste?

«Esiste nella società ma non in Parlamento».

Aspettiamo il Messia?

«Non arriverà nessuno».

E allora?

«La Sinistra deve impegnarsi sul territorio a modellare delle forme di democrazia organizzata. Forse in questo modo, nel lungo periodo, potrà nascere una formazione di partito, ma c’è tanto lavoro da fare. Non si può certo partire dai pasticci che si fanno in Parlamento. La gente non va a votare perché non capisce a che serve. Devo dire, però, che nei miei giri per l’Italia ho incontrato tanti ragazzi che hanno voglia di fare».

Siamo in lotta da una vita, le pare?

«Il mondo sta andando indietro per una ragione ovvia. Bisogna capire che per ragioni ecologiche non si può continuare a consumare e produrre. L’idea di questa famosa espansione economica che avrebbe consentito di redistribuire il reddito e rafforzare il welfare è naufragata, è chiaro. O andiamo verso la terribile situazione che permetterà a un piccolo gruppo violento e straricco di fare quello che vuole o sennò dobbiamo fare la rivoluzione».

Nicola Lagioia: «Dopo 7 anni lascio il Salone di Torino»

Con il romanzo “La terra dei vivi”, Nicola Lagioia, che torna a Cosenza a distanza di qualche mese, ha conquistato il premio nella sezione Letteratura.

Un romanzo con gambe resistenti adatte a corse lunghe.

«Beh sì, a pensarci “La città dei vivi” è uscito nell’ottobre del 2020 ma i libri sono così: possono avere una vita più estesa rispetto ad altre forme espressive».

Ritorna a Cosenza da vincitore.

«Sono stati tre giorni pienissimi, ieri ho ascoltato la lectio di Montanari e oggi quella di Luciana Castellina, sono felice di essere stato premiato ma felice soprattutto di aver potuto ascoltare gli altri».

Nel suo romanzo descrive una violenza cieca che può colpire tutti, un po’ come è successo in Texas dove un assassino ha sparato a caso uccidendo anche dei bambini: cosa c’è dietro questo velo scuro?

«È una violenza senza spiegazione, nel mio romanzo parlo di un omicidio in cui gli assassini non sono consapevoli di quello che hanno compiuto pur sapendo di aver compiuto qualcosa di scellerato, e questo apre uno squarcio rispetto a ciò a cui siamo abituati. Credo che tra i compiti della letteratura ci sia quello di dare un nome, o un’ipotesi di nome, a cose che non ne hanno ed è questo che mi ha spinto a scrivere questo romanzo».

È reduce dal successo del Salone del libro di Torino, quasi 170mila presenze, ma la prossima edizione sarà l’ultima targata Lagioia, perché lascia?

«Io ringrazio tutte le istituzioni che mi hanno chiesto di rimanere ma sette anni sono tanti. Ci vuole il fisico e con l’età c’è sempre di meno. Forse il mio compito era prendere il Salone e risollevarlo, ho cominciato a dirigerlo quando versava in gravi difficoltà e adesso è talmente forte che non ha più bisogno di essere spinto in salita come ho fatto io».

Un’eredità che raccoglierà chi?

«Eh, si vedrà».

Nadeesha Uyangoda: «Quelle frasi che ti fanno l’unica persona nera nella stanza»

Ispirato a un suo longform poi diventato il romanzo “L’unica persona nera nella stanza” (66thand2nd) Nadeesha Uyangoda ha affrontato un tema che continua a restare caldo, bollente. «Il razzismo non è solo violenza fisica ma cambia, si evolve, si trasforma. Ed è importante guardare alla Storia e pure dentro di noi per poterlo debellare; non rimanere ancorati a vecchie lotte politiche, bensì capire che bisogna farsi portavoce di ulteriori battaglie, per esempio quelle delle badanti, delle colf che quotidianamente vengono discriminate».

In quali pieghe si nasconde il razzismo?

«Si ritiene che sia finito con il colonialismo e la segregazione razziale ma è presente nel pubblico e nel privato. È cambiato ma ancora permea le nostre istituzioni e il nostro modo di pensare. Bisogna lavorare tanto».

Dove affondano le radici di questa discriminazione?

«Credo che si manifesti al livello di cittadinanza quando credi che una persona nera non possa essere italiana».

Quali sono le espressioni più subdole che senti in giro o che ti hanno rivolto?

«Per me si sintetizzano in frasi come: “Ah, parli bene l’italiano per non essere italiana”. Oppure: “Ah, sei italiana ma in realtà dove sei nata?”».