Raccontare i Bronzi di Riace in 3d ed in tutto il loro splendore a turisti e cittadini. Nasce da un progetto ambizioso dell’università degli Studi di Messina (dove è stato presentato qualche giorno fa) e del Museo nazionale di Reggio, l’innovativa applicazione che renderà più accessibile, non solo i bronzi, ma tanti altri beni culturali. A spiegare il lungo processo, gli studi, le prove scientifiche ed il duro lavoro di anni ci pensano Daniele Castrizio, docente di numismatica all’università di Messina ed il grafico reggino Saverio Autellitano.

«L’applicazione è un tentativo di rendere i Bronzi più avvicinabili da parte del grande pubblico – afferma Castrizio – quindi è una specie di macchina del tempo: si prende il tablet,  si punta sui bronzi ed essi vengono ripresi con le armi e c con il colore che noi pensiamo in base alle nostre ricerche che sia stato il colore originario.  Lo abbiamo inserito in un programma universitario della terza missione ed è quello relativo all’archeologia pubblica, Una idea semplice che tra l’altro può essere utilizzata per tutte le statue antiche del mondo.

Quindi, teoricamente, potrebbe solo una cosa che potrebbe portare anche dei vantaggi economici, bisogna sperare che le persone escano dal personalismo e riescano a capire l’idea stessa di questa applicazione che è soltanto a servizio della gente».

La rivelazione dell’app cade a pennello con l’avvicinarsi del 2022, anno delle celebrazioni per i cinquant’anni dalla scoperta delle due statue nel mare di Riace. «Questo è infatti uno dei progetti che vogliamo portare avanti – rivela il docente – Abbiamo capito in che cosa, nella valorizzazione, dopo 40 anni, siamo deficitari: per cui cercheremo di utilizzare quei pochi fondi che ci saranno per andare a riempire questi vuoti e fare in modo che i bronzi posano essere propagandati nel mondo e fruiti. Da qui la necessità di un lavoro sulle lingue, sul marketing e riuscire a fare appassionare il mondo di queste due statue che per noi – conclude – sono state una delle ragioni della vita».

Un’applicazione creata grazie ad un minuzioso lavoro di ricerca storico ma non solo. «I bronzi per come li vediamo oggi sono un po’ strani – afferma Autellitano – è strano che siano monocromatici o verdastri come li conosciamo perché già vediamo le labbra colorate, i capezzoli, i denti e questo è già un segnale che le statue fossero colorate. Perché non andare a capire se il colore fosse parte integrante del progetto originario.

Tramite studi scientifici abbiamo scoperto che la composizione del bronzo  è variabile e strana, la percentuale di stagno che c’è nelle due statue rende il bronzo delicato. Ma perché farli così? L’unica ragione che ci viene in mente è quella dei motivi coloristici e viene fuori la tonalità un po’ bionda. Si è inoltre scoperto che sulle statue c’è questa patina di zolfo compatibile con un processo chimico che serve a scurire e ottenere differenti gradazioni di colore, per esempio quelle vicine alla pelle. 

Confermarci questo è stato Domenico Colella, bronzista e più esperto di noi nella chimica di questi materiali che ha prodotto dei campioni. Su questi campioni ho fatto una rilevazione colorimetrica e l’ho riportata sulle texture delle due statue per vedere cosa venisse fuori. Il risultato è stato effettivamente sorprendente: mi ha ricordato i vasi, la pittura antica. Abbiamo avuto riscontri iconografici, artistici: tutto combacia e ci fa pensare a quanto fossero belle queste statue in origine».