VIDEO | L’associazione Cuore di Medea di Reggio Calabria si è resa portavoce della storia di una mamma che ancora invoca protezione per sé e per i suoi figli: «Giustizia ancora parziale». Sulla vicenda è stato presentato un esposto alla procura generale per i minorenni
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L’epopea di una donna, vittima di violenza, madre di tre figli, due dei quali ancora minorenni, nel tempo tutti allontanati per essere affidati alle cure delle zie e di uno zio, sorelle e fratello del padre che adesso il tribunale penale, con una sentenza di primo grado non ancora passata in giudicato, ha condannato per maltrattamenti familiari.
I volti diversi della Giustizia
Una vicenda complessa, carica di sofferenza, nella quale accanto alla donna è rimasta l’associazione Cuore di Medea onlus che ha convocato una conferenza stampa a palazzo san Giorgio, sede dell’amministrazione comunale di Reggio Calabria. Nell’occasione dell’incontro Patrizia Gambardella, presidente dell’associazione Cuore di Medea onlus, ha messo in luce l’importanza della denuncia da parte delle donne, vittime di violenza, senza le quale i processi non avrebbero luogo e le sentenze di condanna non sarebbero emesse, senza tralasciare di sottolineare che, nonostante la condanna in sede penale, la tutela delle donne, delle madri, delle figlie e dei figli non è completa e compiuta senza un sistema che operi all’unisono. «Purtroppo dobbiamo rilevare che nel nostro sistema qualcosa non va come dovrebbe se in alcuni uffici giudiziari le leggi italiane e i precetti della convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne vengono applicati e in altri no. La sentenza del collegio penale di qualche settimana fa ha accertato le violenze e gli abusi denunciati dalla donna per anni e che anche i figli hanno subito, riconoscendo tutto ciò che andava riconosciuto. Non la stessa coerenza possiamo ravvedere nei provvedimenti del tribunale per i Minorenni», spiega ancora Patrizia Gambardella.
«La sentenza di condanna vieta al padre maltrattante l’avvicinamento ai figli per la durata della pena, invece non più tardi di qualche giorno fa l’uomo ha avuto il permesso di recarsi a casa dei parenti, ai quali la prole è stata affidata, per fare gli auguri di compleanno ad una figlia, mentre la madre, vittima di violenza e vessazione per quasi vent’anni adesso finalmente accertate con sentenza di primo grado, ha dovuto incontrarla in ambiente neutro, in presenza degli assistenti sociali. Ripeto c’è qualcosa che non va. Se allontanamento ci deve essere, tutti i tribunali devono riconoscerlo e salvaguardarne l’osservanza», sottolinea ancora la presidente dell’associazione Cuore di Medea onlus, Patrizia Gambardella. Oltre a mettere in luce queste gravi criticità nel nostro sistema, l’associazione ha invocato a gran voce «la necessità di formazione e specializzazione di tutti gli attori coinvolti nell’affiancamento a donne e minori, vittime di violenza, siano assistenti sociali, psicologi e altri professionisti impegnati in questo servizio di assistenza. Assistenza che, nella vicenda in questione, è stata molto carente».
«Allontanamento dalla madre ingiustificato»
Dunque sono tanti gli aspetti da attenzionare in questa storia dolorosa e complessa.
«Il padre condannato per maltrattamenti può, con permesso del tribunale dei minorenni vedere i figli, alla presenza dei parenti ai quali sono affidati e che dovrebbero vigilare, mentre la madre può vederli in ambiente neutro in presenza degli assistenti sociali. La recente sentenza penale di condanna dell’uomo, accertato essere un soggetto maltrattante nei confronti della donna e dei figli, mette in luce una evidente lesione dei diritti della madre e anche dei figli, che continuano ad avere contatti con il padre medesimo. Abbiamo presentato un esposto alla procura generale per i minorenni. Siamo in attesa. Noi abbiamo denunciato in tutte le sedi competenti questo stato di cose – ha spiegato Alessandro Morabito, avvocato della donna – e, tra le altre questioni, abbiamo anche posto in luce la sproporzionalità del provvedimento di sospensione della potestà genitoriale della madre che continuiamo a ritenere ingiustificato».
«Considerando le fragilità di una persona, la cui esistenza e la cui identità di donna e di madre sono state completamente svilite in quasi vent’anni di vessazioni ad opera del marito, e l’assenza di misure di supporto ad una genitorialità per queste ragioni da sostenere, non riteniamo le motivazioni addotte sufficienti per motivare un provvedimento della portata della sospensione che di fatto ha allontanato i figli da una madre che se n’è sempre presa cura. La donna avrebbe dovuto essere sostenuta, nel percorso di recupero una volta uscita dal contesto di violenza, piuttosto che essere allontanata. Assistiamo ad una misura di tutela per i minori che solo gravissime inadempienze della madre avrebbero potuto giustificare e che, nel caso in questione, invece noi non ravvisiamo. Parallelamente e in modo altrettanto inspiegabile abbiamo assistito al passaggio da un divieto di contatto con il padre, se non con autorizzazione del tribunale e il consenso dei figli, ad un rapido reinserimento degli stessi nella famiglia paterna, senza tenere conto della volontà dei minori e nonostante le denunce di violazioni delle prescrizioni relative all’avvicinamento, i maltrattamenti familiari e i processi in corso, di cui uno terminato di recente con sentenza di condanna», ha spiegato ancora l’avvocato Alessandro Morabito.
«Questa sentenza penale certamente rende giustizia alla donna che per anni ha subito e denunciato le violenze ma certamente si tratta di una giustizia ancora parziale. Una donna con un vissuto così tormentato che solo di recente ha potuto entrare in possesso della sua casa, dopo esperienze trascorse con le figlie in struttura protetta, lo scorso anno ha subito anche l’allontanamento dalle stesse, affidate alla sorella e al fratello del padre, adesso condannato per violenze in famiglia. Una schizofrenia del nostro sistema che spesso registriamo laddove le donne, già vittime di maltrattamenti, subiscono anche l’allontanamento dai figli, a beneficio di un avvicinamento allo stesso uomo maltrattante», ha evidenziato ancora Debora Maria Di Pasquale, avvocata dell’associazione Il Cuore di Medea.
Le iniziative del Comune di Reggio
Intanto il Comune, in occasione della conferenza stampa ha annunciato alcune misure a sostegno delle donne, vittime di violenza. Incentivi all’imprenditorialità, sensibilizzazione nelle scuole, in collaborazione con gli assessorati alla Pubblica istruzione e welfare, e finalmente una struttura pubblica di accoglienza.
«Siamo al lavoro per aprire la prima casa delle donne pubblica di Reggio Calabria. Lo faremo in un bene confiscato. La struttura dovrebbe essere inaugurata nell’arco di un anno e mezzo - ha spiegato assessora alle Politiche di genere del comune, Angela Martino - e accoglierà donne e minori che vivono a casa situazioni di difficoltà e che offrirà anche dei servizi in termini di supporto psicologico e ascolto. Un progetto, messo a punto anche grazie al prezioso stimolo delle associazioni del territorio, alle quali l'Amministrazione comunale resta accanto con spirito propositivo e collaborativo. Sappiamo quanto sia difficile denunciare, per questo raccontare, come stiamo facendo in questa occasione, le storie vissute, anche e soprattutto quando pur con qualche esito positivo restano avvolte in un contesto particolarmente delicato e complesso, crediamo sia fondamentale per dare fiducia e sostegno a quelle donne ancora oggi intrappolate, spesso con i loro figli, in quella spirale di violenza e soggezione psicologica, economica e sociale. Il gravissimo fenomeno della violenza sulle donne è assolutamente radicato e trasversale e solo una forte azione comune potrà contribuire al suo effettivo contrasto», ha concluso l’assessora alle Politiche di genere del comune di Reggio Calabria, Angela Martino.